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Wednesday, 24th February 2023 

Storie di Italiani

La storia degli italiani in Sud Africa è già stata scritta. Esistono infatti testi firmati da diversi autori che si cimentano con la presenza italiana in questa parte del mondo dal punto di vista storico. La ricerca più completa è probabilmente quella che Gabriele Sani ha dato alle stampe alla fine degli anni Ottanta. Il nostro obiettivo non è quindi quello di riscrivere la storia o di spacciarci per storici. Lo scopo di queste pagine è quello di raccontare storie di italiani che sono vissuti in questo paese o ci vivono presentemente. Storie interessanti soprattutto dal punto di vista umano, che mirano a mettere in luce le cose buone, più o meno importanti, che singoli individui hanno compiuto nel perseguire quelle che sono le finalità naturali dell'uomo e che si riducono  in fondo al procacciarsi una fetta più o meno sostanziosa di felicità e di benessere. In questa prospettiva sono parimenti importanti il muratore che è riuscito a diventare un imprenditore di successo o l'impiegato che non è diventato ricco ma abbia in qualche modo contribuito a rendere migliore la società nel cui ambito si sia trovato a operare. Alcune storie sono già state scritte e pubblicate, altre sono scritte ma non ancora pubblicate e altre ancora non sono state neanche scritte. Mentre proponiamo alla vostra attenzione le storie presenti in questo sito, ci riserviamo di aggiungere di volta in volta le altre che riusciremo a scrivere, così come ci offriamo di pubblicare storie scritte da altri, purché rispondenti ai criteri ai quali questa pubblicazione si ispira.

Dai testi pubblicati dagli storici sappiamo che ci sono stati anche in tempi molto lontani italiani che hanno frequentato questa terra e hanno avuto un ruolo, a volte grande altre volte modesto, nella sua crescita culturale ed economica. Ce ne sono tanti anche oggi. Così come ci sono italiani e italiane che non sono e non sono stati a capo di grandi aziende ma hanno scritto pagine bellissime della storia sudafricana. E il pensiero corre subito alla figura di Domitilla Rota Hyams e del suo "Piccolo Eden", che nessuno avrebbe potuto realizzare senza l'aiuto di Dio, una profonda devozione alla Madonna e una grande dose di santità. Possiamo ben dire che Domitilla è stata per Johannesburg quello che Madre Teresa è stata per Calcutta. La sua storia apparirà prima o poi su queste pagine. E accanto alla sua altre storie di italiani. Buona lettura.

Due storie esemplari di italiani d'altri tempi:

Rocco Catoggio (Catorzia)

 

Una lettera in italiano esposta al Museo degli Ugonotti a Franschhoek ci racconta la storia di Rocco Catoggio, che i sudafricani conoscono con il cognome Catorzia e che ha trasmesso il nome Rocco a numerosi discendenti di alcune fra le famiglie più illustri di questo paese, fra cui principalmente i De Villiers. Ma chi era veramente questo Rocco Catoggio? Un attento esame della lettera ci dice più di quanto egli stesso non racconti di sè e della propria storia alla famiglia in Italia. Apprendiamo prima di tutto che era di Armento, in Basilicata, cittadina che Re Ferdinando IV di Borbone nel 1786 aveva dichiarato Città Reale. Rocco vi nacque quattro anni dopo, nel 1790. La sua lettera, scritta in buon italiano, ci dice pur senza dirlo che la sua era una famiglia dell'alta società. A quel tempo, infatti, soltanto i ricchi e i nobili potevano permettersi un'istruzione e soltanto loro erano in grado di utilizzare l'italiano invece del dialetto. Occorre inoltre ricordare che in quegli anni imperversava in Europa un uragano chiamato Napoleone.

Rocco Catoggio (nel ritratto è con il nipote Rocco Catorzia de Villiers), scrivendo ai genitori, ricorda loro che il 25 settembre di un anno imprecisato, ma che possiamo collocare intorno al 1810, lui partì per Napoli. Considerato che Napoleone aveva dato il Regno di Napoli al suo fedelissimo Gioacchino Murat nel 1808, nominando allo stesso tempo Giuseppe Bonaparte Re di Spagna, niente di strano che Rocco finisca in Spagna e qui venga catturato dagli inglesi, i quali gli fanno un'offerta comune a quei tempi: la forca o la coscrizione volontaria nell'esercito inglese. Lo arruolano per sei anni e mezzo e lo spediscono nella Colonia del Capo, che nel 1805 l'Inghilterra, sempre nel corso delle guerre napoleoniche, ha strappato all'Olanda di Luigi Bonaparte.

Rocco scrive ai genitori di essersi sistemato, dopo il congedo, a quaranta miglia da Città del Capo (Paarl) e di essersi messo a fare il calzolaio, avendo imparato il mestiere mentre era soldato. Riferisce anche che a est del Capo si sono insediati migliaia di inglesi fatti venire per colonizzare la regione di confine con le terre delle tribù indigene. E noi sappiamo che in questo caso sta parlando dei cosiddetti 1820 Settlers che fondarono Port Elizabeth e tutte le città e cittadine dell'odierno Eastern Cape. Per cui possiamo concludere che entro quella data il giovane Catoggio era diventato ricco, possedeva la calzoleria, un mulino, una macelleria e una conceria, nonché due aziende agricole che producevano vino e grano. Nel frattempo si era sposato con Catarina Carlotta Theron e nel 1818 era diventato padre di Gertruda Catarina Catoggio, a sua volta madre di Rocco Catorzia de Villiers, primo di quattordici figli e continuatore della stirpe dei De Villiers.

Rocco Catoggio racconta anche ai genitori che il Capo di Buona Speranza è una bella città di 18.000 abitanti fra uomini liberi e schiavi. La temperatura d'inverno scende raramente sotto i 10 gradi centigradi e d'estate quasi mai supera i 30 gradi. "Qui abbiamo tutto - dice la sua lettera -: vino in abbondanza, granaglie di ogni tipo e frutta in quantità. Vivere è molto piacevole, con carne e pesce in abbondanza e a buon mercato, così che uno che si dia da fare può vivere onestamente, avendo sempre più che abbastanza per le sue immediate necessità". Una sola nota di preoccupazione: il governo inglese sta per decretare la fine della schiavitù. La sua lettera è datata 3 Giuglio 1833 e Rocco Catoggio ha 43 anni. La schiavitù fu abolita per legge nel dicembre di quell'anno.


Sir John Charles Molteno

 

Cento e ottanta anni or sono, nel 1831, un giovane di appena diciassette anni arrivò a Città del Capo da Londra. Il suo nome era John Charles, ma molto probabilmente nella Provincia italiana in cui la sua famiglia aveva le radici sarebbe stato Giancarlo, ottenuto contraendo Gianni e Carlo, come in John Charles. Quella parte della Lombardia è la Brianza, per secoli crocevia di tante culture, dai Celti, ai Romani, ai Longobardi. Nel 1831 era ancora parte dell'Impero Austro-Ungarico, ma movimenti nazionalistici italiani erano in fermento fin dal tempo delle guerre napoleoniche. Lo sappiamo anche dalla Divina Commedia che Dante Alighieri scrisse nel quattordicesimo secolo. Quei movimenti, visti con simpatia dall'Inghilterra, miravano alla creazione di uno stato italiano unitario e indipendente, che era soltanto una trentina d'anni nel futuro. E' per questo che oggi celebriamo 150 anni del moderno Stato Italiano e migliaia di anni di una cultura che ha impregnato di sè ogni angolo del mondo. Il cognome del giovane era così comune in Brianza che vi è perfino un villaggio con lo stesso nome della sua famiglia. E lui fu una tale forza innovativa nella Colonia del Capo che quarant'anni dopo un nuovo villaggio nel Karoo fu battezzato in suo onore con lo stesso nome. In quell'epoca il giovane immigrato anglo-italiano era diventato il primo Primo Ministro della Colonia del Capo e si era guadagnato un posto nella storia del Sud Africa per aver introdotto nel paese la pecora Merino Sassone, per aver fondato la prima banca di Beaufort West, l'Università di Cape Town e quella di Stellenbosch, per essere diventato il Primo Ministro del Capo e per essersi imposto come il campione della "governanza responsabile" (concetto fortemente rivoluzionario a quel tempo... e forse anche oggi). Quell'uomo era Sir John Charles Molteno.

From Wikipedia, the free encyclopedia

Sir John Charles Molteno KCMG (5 June 1814 - 1 September 1886) was a soldier, businessman, champion of responsible government and the first Prime Minister of the Cape Colony.
 
Born in London into a large Anglo-Italian family – from Brianza, in the Lombardy Region, where a village has the name Molteno and is twined with a village with the same name in the South African Karoo -, Molteno emigrated to the Cape in 1831, exactly 180 years ago, at the age of 17, where he found work as an assistant to the public librarian in Cape Town. At the age of 23 he founded his first company, Molteno & Co., a trading company that exported wine, wool and aloes to Mauritius and the West Indies, and opened branches around the Cape. Later, disposing of his mercantile businesses, he bought several farms in the arid Beaufort area and successfully introduced Saxon Merino sheep, creating the extensive Nelspoort Estate. Among his other business ventures, he also founded the region's first bank, Alport & Co. - in Beaufort West.
 
After his first wife Maria died in childbirth (along with their child), he left for the frontier to fight in the 1846 Amatola War.
 
The Cape economy was in a recession in the early 1860s when Molteno remarried, moved back to Cape Town and bought Claremont house (at the time an estate of orchards and vineyards, not the busy suburb that it is today).
 
Molteno had been elected as member of the Cape Colony's legislative assembly for Beaufort West in 1854 and had been using his position to push for responsible self-government for the Cape. His experiences fighting in the frontier wars had given him a contempt for what he saw as the incompetence of colonial rule in Southern Africa and a lifelong belief in the need for efficient local government. When the new governor, Sir Henry Barkly, was sent from London with a mandate to implement self government for the Cape, Molteno saw the bill through parliament and became the Cape Colony's first Prime Minister.
 
He was appointed Prime Minister in 1872, and in turn appointed the young John X. Merriman as his commissioner of public works (Merriman himself was later to become the 8th Prime Minister of the Cape and in that capacity continued many of Molteno's policies).
 
Molteno began his ministry by re-organising the state finances. He used the new revenues from the diamond and ostrich feather industries to pay off the Cape's accumulated debts and to invest heavily in infrastructure, including a telegraph system and an ambitious railway building programme. He also oversaw a revival in the agricultural sector, and began the construction of a vast irrigation system across the country. The economy recovered as exports climbed, resulting in reasonable budget surpluses by the end of his tenure. He led the (now prosperous) Cape colony in the Ninth Frontier War when it broke out in 1877, and he strongly resisted regional factionalism - going to great lengths to heal the rifts between the eastern and western halves of the Cape and blocking attempts by his political opponents to racially segregate the armed forces.

His government also founded the University of the Cape of Good Hope, now one of the world's mega-universities with over 200,000 students, and Victoria College (later to become Stellenbosch University). The Molteno Ministry was characterised by its stout opposition to imperial interference in Cape affairs, for example, quashing a bid to forcefully incorporate Griqualand West and opposing Frere's later deployment of imperial troops against the Xhosa.

Importantly, the system of responsible government as instituted under Molteno retained the traditional Cape system of non-racial franchise - whereby all races could vote, quite unlike the situation in the rest of Southern Africa.
 
A change of government in London led to a pro-imperialist lobby headed by Secretary of State, Lord Carnarvon, determined to enforce a confederation on southern Africa. This was resisted by the Cape colony government and relations between the Cape Ministry and the Colonial Office deteriorated. Molteno himself argued that such an initiative ought to come from South African authorities - not from the London Colonial Office - and that it was badly timed. However, the Colonial Office dismissed governor Henry Barkly and appointed Sir Henry Bartle Frere who on 3 February 1878 dissolved the Cape government. Frere was a formidable administrator of the British Empire but had scant experience of Cape government and the confederation scheme soon fell apart leaving a trail of wars across Southern Africa. After the disastrous invasion of Zululand and rising discontent in the Transvaal (that later exploded as the First Boer War), Frere was recalled to London in 1880 to face charges of misconduct.
 
Molteno was repeatedly asked to take office again, however (by now in his late sixties) he declined and instead retired from public life to spend time with his family. His last office was a brief stint advising the Scanlen Ministry as Colonial Secretary before he retired completely. His legacy was in the system of responsible government and parliamentary accountability that he helped to establish.
 
He was knighted by Queen Victoria in 1882.
 
Molteno was married three times and had a total of nineteen children, founding a large and influential South African family. His oldest daughter Elizabeth Maria was an ally and friend of Gandhi and Emily Hobhouse, as well as a prominent early activist for women's rights. Three of his sons (Percy Molteno, James Molteno and John Molteno II) later entered parliament, while two became important landowners in Elgin and one was an Admiral who fought in the Battle of Jutland - the largest naval engagement of the First World War.
 
Although born and raised a Catholic, Molteno was tight-lipped on the subject of his religious beliefs (unusually so for a man known to be frank and direct). According to his son and biographer, he disliked denominations and was a freethinker.
 
The "Lion of Beaufort" died on 1 September 1886 and was interred at St Saviour's in Claremont, Cape Town.
 
The town of Molteno, in the Stormberg Mountains of South Africa, is named after him.

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