Giovanni e Aurelia Borsero
Tuesday, 24th March 2015 

Giovanni e Aurelia Borsero

Questo è l'anno delle grandi ricorrenze per la famiglia Borsero, che domenica mattina si è raccolta attorno all'altare della Chiesa della Santa Croce, nel District Six di Città del Capo, per rendere grazie a Dio  della sua immensa benevolenza e per festeggiare il primo degli anniversari che segnano tre partenze e altrettanti traguardi di un percorso caratterizzato sempre dalla forza che muove il sole e l'altre stelle: l'amore. Un amore a sua volta nutrito da sentimenti e principi condivisi che si chiamano rispetto, fiducia, altruismo, sincerità, abnegazione e senso della famiglia.

Aurelia oggi compie ottant'anni e fra qualche mese, il 26 ottobre, raggiungeranno insieme il traguardo delle Nozze di Diamante, mentre Giovanni compirà 88 anni il giorno di Natale. Numeri strabilianti, resi ancora più stupefacenti dal fatto che Aurelia e Giovanni vivono questa loro terza età con la stessa energia e gli entusiasmi degli anni giovanili. Ogni domenica mattina sono loro a fare le letture durante la messa in italiano di padre Giovanni e padre Jorge e sono ancora loro a organizzare le attività del Circolo Anziani Italiani di Città del Capo, del quale sono presidente e segretaria.

Sono stati festeggiati dalla loro grande e bella famiglia e dagli amici, prima in chiesa e poi a pranzo al Club Italiano, mentre sulla parete alle loro spalle scorrevano le immagini in bianco e nero e a colori di due vite divenute una sola storia che dura già da quasi un secolo e che ancora stanno scrivendo.

La gratitudine della comunità per il ruolo che hanno nel rendere meno difficile e solitaria la vita degli anziani è stata espressa con parole diverse ma con la stessa ammirazione da padre Giovanni in chiesa, dal console d'Italia Edoardo Vitali con un messaggio augurale e da Renato Fioravanti e Sabino Carlone con brevi interventi al microfono nella sala dei soci del Club Italiano, mentre gli invitati gustavano l'insalata russa che Giovanni aveva preparato con le sue mani e i cannoli siciliani della signora Lorenza Ganci.

Sessant'anni di matrimonio, dei quali quasi cinquanta in Sud Africa, sono un traguardo raro, non soltanto perché trova spesso un ostacolo insormontabile nell'età media delle persone, ma anche perché occorre veramente una tempra eccezionale per condividere tutto quello che la vita impone in un lasso di tempo tanto vasto. Forse il segreto di questi due giovani attuagenari sta nell'essersi circondati di tanti figli e quindi di una famiglia che ha continuato a rinnovarsi incessantemente, senza lasciare spazio alla noia e all'abitudine. Una famiglia che si compone in questo momento di quattro figlie e due figli con altrettanti compagni e compagne, dieci nipoti (più uno in arrivo) e un pronipote come regalo per il prossimo Natale. Tre figli - Daniela, Scilla e Andrea - sono nati in Italia, gli altri tre - Fabio, Cristina e Mariella - in Sud Africa.

Giovanni Borsero nasce a Carignano, a due passi da Torino, il 25 dicembre del 1925, mentre Aurelia Almerighi vede la luce il 21 maggio del 1933 a Cagliari, figlia di un ferroviere che però qualche anno dopo si trasferirà per lavoro a Rapallo. Qui si incontreranno nel 1951, complici le vacanze estive e le serate con gli amici nelle balere sul mare. Ma procediamo con ordine perchè fra le diverse date ci sono anche la seconda guerra mondiale e la resistenza.

Allo scoppio della guerra Giovanni è soltanto un ragazzo e non ha il dovere di indossare la divisa e partire per il fronte, ma appena compie 17 anni, nutrito di patriottismo e pieno di sogni di gloria, si arruola da volontario nell'aviazione e lo addestrano a diventare mitragliere di bordo, ma non fa in tempo a mitragliare nessuno perché arriva l'armistizio del 1943 e lui è fra quelli che riescono a tornare a casa. Appena il tempo di chiedersi cosa fare adesso che il padre, per sottrarlo alle retate dei tedeschi e dei fascisti, lo accompagna in montagna e lo affida a un suo amico partigiano. Resta con i partigiani fino alla fine del 1944, spostandosi in continuazione di notte da una valle all'altra per sfuggire ai rastrellamenti degli ex alleati germanici. Si ferisce una notte ruzzolando in un burrone, ma arriva alla meglio in vista del diciannovesimo compleanno quando cade anche lui nelle mani dei nemici, che lo portano alle Carceri Nuove di Torino onde sia processato per tradimento e inevitabilmente fucilato. La fortuna lo assiste attraverso un avvocato che riesce regolarmente a nascondere il suo fascicolo in fondo alla pila di quelli in attesa di processo e arriva così alla fine della guerra. Ancora una volta è il numero 25 del giorno e dell'anno della sua data di nascita a contrassegnare quella che in definitiva è la sua rinascita: il 25 aprile 1945 torna libero. Di quel periodo in cella racconta: "C'erano con me un socialista, un comunista e un liberale. Io ero stato balilla e avanguardista prima di fare il militare e il partigiano. Di politica non capivo niente e non sono cambiato".

Ci vuole un po' di tempo prima che le cose tornino alla normalità per Giovanni, che ha appena compiuto vent'anni ed è tornato a Carignano. Il bisogno di guadagnare lo indirizza verso un lavoro alla Fiat come controllore di qualità dei materiali che arrivavano dai fornitori, ma come tanti giovani della sua età, con un fisico da atleta, di bell'aspetto e gratificato da madre natura di una voce piena e calda, mentre fa anche il sindacalista della Cisl, si vede piuttosto su un palcoscenico completamente diverso e sente fortissimo il fascino del cinema e dello spettacolo. Nel 1948 si iscrive ai corsi serali di una scuola di arte e dizione che frequenta per i successivi tre anni. Nel 1951 si sente pronto a spiccare il volo e ha nella borsa un soggetto cinematografico che ha scritto e del quale si è assicurato i diritti, ma lo affida a mani sbagliate e qualche anno dopo avrà la sorpresa di vederlo tradotto in un film di successo di cui altri riscuoteranno i meriti e i proventi, visto che lui non ha più rinnovato il copyright. Nello stesso anno fa un provino alla Rai di Torino, dove però assumono soltanto annunciatrici e presentatori e gli consigliano di andare a Roma, quasi garantendogli particine per cominciare a farsi conoscere. Partecipa anche a qualche sketch in spettacoli con Dario Fo, ma il destino ha deciso diversamente per lui e galeotta è una vacanza a Rapallo, dove, in balera con gli amici, incontra una diciottenne che si chiama Aurelia Almerighi e le strappa un appuntamento per il giorno dopo.

Lei frequenta una spiaggia del golfo di Rapallo e lui esattamente quella opposta, ma niente paura, Giovanni noleggia una barca a remi e attraversa remando tutto lo specchio di mare che lo separa da quella ragazza bruna e alta che lo ha stregato. Solo che lei non c'è. Ha la madre indisposta ed è dovuta restare a casa per prendersene cura, con un filo di rimorso per la promessa mancata ma niente più. E lui, quando capisce che l'appuntamento è saltato, si rifà a remi tutto il golfo nella direzione inversa.

La rivede una settimana dopo nello stesso locale, "Il Porticciolo", nel quale anche i ragazzi di oggi vanno a innamorarsi. Fanno pace, di scambiano gli indirizzi e i numeri di telefono, poi lui torna alla Fiat e lei ai suoi studi da ragioniera e lui comincia a fare il pendolare del fine mese e del fine settimana fra Torino e Rapallo. Duecento chilometri in treno che sottraggono fra andata e ritorno una dozzina di ore a quelle che possono trascorrere insieme fra la tarda sera del venerdì e quella della domenica. Va avanti così per due anni, lui ha rinunciato ai suoi sogni di celluloide, lei si è diplomata e lavora all'Inps e nel 1953 si sentono pronti per mettere su famiglia. Si sposano il 26 ottobre e in poco più di nove mesi la famiglioa cresce di una unità.

I signori Borsero sembrano avviati verso una maturità senza scosse, con la loro famigliola ferma a tre componenti, quando a Giovanni vengono a nausea il lavoro ripetitivo alla Fiat e la prospettiva di continuare così per almeno altri 25 anni. Nel 1958, in una conversazione con amici sente dire che a Milano è stato aperto il primo supermercato e decide di andarlo a vedere. "Non si sa mai - dice - che mi venga qualche idea". E ha ragione. Nel supermercato lo colpisce il banco dei prodotti alimentari surgelati  di una ditta del nord Europa. Si rende conto che a Torino non c'è ancora niente del genere e appena tornato a casa si dà da fare e riesce a ottenere la rappresentanza per Torino e provincia. Lascia la Fiat, compra un furgone, ci scrive in grande sul fianco la parola "Frost" e il proprio nome e comincia a battere le strade di città e villaggi. Scopre che il problema maggiore è rappresentato dal fatto che i negozi di prodotti alimentari non hanno banchi frigoriferi come il supermercato di Milano, ma non si scoraggia e inventa la formula: "Voi comprate i miei surgelati, io vi do il frigorifero". Arriva ad avere cinque furgoni e una lista di centinaia di clienti, ma poi il mercato cambia, cambiano i proprietari delle grandi marche di surgelati e i nuovi supermercati vanno direttamente alla fonte dei prodotti, per cui i rappresentanti finiscono fuori gioco.

Giovanni è rabbioso e non ha ancora deciso come affrontare la nuova situazione quando apre un giornale e vede una pubblicità del Sud Africa che promette sole e aragoste. Lascia la moglie con i figli, che sono appena diventati tre, e il 23 dicembre del 1964, due giorni prima del suo quarantesimo compleanno, scende dall'aereo a Città del Capo, trova alloggio presso una famiglia italiana e comincia a guardarsi intorno. Uno dei suoi primi incontri è con padre Maletto, missionario della Consolata e cappellano degli italiani, che gli offre ospitalità a prezzo ridotto nella sede della sua congregazione e lo esorta a studiare l'inglese. Trova lavoro come autista dell'autobus e nel 1965 Aurelia lo raggiunge con i figli e la mamma, Rita Satta, che l'aiuta in casa e si fa anche valere come pittrice. Aurelia, nonostante non sappia l'inglese, trova lavoro al Lloyd Triestino, dove hanno proprio bisogno di una come lei, in grado di fare la segretaria del direttore e di comunicare in italiano.

Nel 1969 il percorso lavorativo di Giovanni cambia nuovamente direzione. Apre un "take away" di piatti pronti e di surgelati in Long Street, all'epoca arteria di demarcazione fra i quartieri residenziali e le tante fabbriche della zona industriale. I cannelloni e le lasagne piacciono ai sudafricani che cominciano a scoprire i sapori della gastronomia italiana e il successo non si fa attendere, ma è di breve durata perché di nuovo il moderno che incalza cambia le regole del gioco, le fabbriche vengono sfrattate e i clienti scendono sotto la quota di sopravvivenza. E' il 1971 e i Borsero junior sono adesso sei. Punto e a capo. Giovanni trova lavoro ancora nel settore alimentare, questa volta come manager della catena dei negozi di "delicatessen" Millys, per la quale apre e avvia diversi punti vendita lungo l'Atlantic Seaboard, da Sea Point al Foreshore. Il più famoso esiste ancora a Sea Point e si chiama adesso New York Bagels.

I successivi vent'anni sono finalmente senza scosse e nel 1990 Giovanni approda alla pensione. Ha 65 anni. Tre anni dopo chiude anche il Lloyd Triestino e si chiude anche la parentesi lavorativa di Aurelia. Trovano comunque entrambi tanto da fare nell'ambito comunitario, nel quale sono ben introdotti avendo sempre frequentato le manifestazioni della Friends of Italy in Thibault Square. Partecipano alle prime riunioni per fondare l'Associazione dei Piemontesi sotto la presidenza del signor Fava e con personalità note come la professoressa Avondo e l'industriale Corbellari. Giovanni ne diventa il tesoriere, Aurelia la segretaria. Nel 1998 lui è eletto presidente del Circolo Italiano Anziani e lei segretaria. Quindici anni dopo sono stati rieletti per l'ennesima volta e domenica gli esponenti della comunità li hanno ringraziati per questo loro nobile impegno civile.

Questa, ridotta ai minimi termini la storia di Aurelia e Giovanni Borsero: due italiani di cui  andare orgogliosi, due persone ammirevoli, due genitori, nonni e bisnonni ai quali i figli domenica hanno detto con il loro affetto, con i gesti e con le parole: "Grazie di averci insegnato tutto con il vostro esempio". Così come Giovanni e Aurelia, in ginocchio davanti all'altare, hanno potuto dire nel silenzio appagato dei loro cuori: "Eccoci qui, Signore, con tutti quelli che ci hai affidato".

Ciro Migliore

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