Gobbato racconta
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- Created on Wednesday, 17 July 2013 11:47
Seicento voci alla fine gli dedicano in coro "Happy Birthday" -
Un trionfo. Angelo Gobbato ha festeggiato i suoi settant'anni con uno spettacolo bello, senza sbavature, di altissimo livello e di gran lunga superiore alle produzioni analoghe che spesso ci propinano la televisione italiana e quella sudafricana. Due ore di musica e immagini senza intervallo per raccontare sè stesso e la storia d'Italia - che ha voluto definire Motherland e non Fatherland come usa in inglese -. Lo ha fatto attraverso le venti canzoni che gli sono rimaste nella mente e nel cuore negli anni trascorsi fra la sua nascita a Milano e la sua definitiva consacrazione alla lirica nel Sud Africa degli anni sessanta. Una sonnolenta Città del Capo, sospinta da una piccola e pacifica "invasione" di italiani, fra operai ed ex prigionieri di guerra, si era da poco scoperta una passione per il melodramma quando il nome di Gobbato cominciò ad acquistare notorietà e a identificarsi con quanto di meglio sarebbe avvenuto negli anni seguenti nel campo della lirica, mentre a San Remo l'esplosione di Domenico Modugno cambiava per sempre i canoni della musica leggera italiana.
La passeggiata nella memoria, fra ricordi personali e collettivi, è durata due ore che sono finite troppo presto. Spalleggiato da musicisti di grande talento e professionalità e dalle migliori voci della Scuola di Musica dell'Università di Città del Capo, il maestro Gobbato ha cominciato con un "Fratelli d'Italia" che ha fatto tremare le strutture della grande sala dei concerti nel complesso del Baxter e ha concluso con "Nkosi Sikelele Africa" e con "Mamma", commovente omaggio filiale alla protagonista nascosta della serata, Evelina Meazza, sulle cui ginocchia ascoltò e imparò nella sua Milano le canzoni di un'Italia creativa e ottimista, uscita in rovine da due guerre mondiali ma fiduciosamente proiettata verso il futuro.
Ha raccontato di una mamma milanese e di un padre veneto di nobile stirpe osteggiato dalla famiglia per aver esercitato il diritto di scegliere la donna della sua vita. Ha raccontato di un'Italia che si scopriva colonialista quando il sogno coloniale già tramontava e lo ha fatto con grande onestà intellettuale, cantando anche "Faccetta Nera", pur sapendo di andare dritto incontro a critiche e disapprovazioni più o meno severe. Ma poi ha cantato anche "Bella Ciao" per contrapporre le due anime dell'Italia divisa da ideologie in guerra fra loro. Ha interpretato con sentimento e in perfetto dialetto meneghino "O mia bela Madunina" e "Nustalgia de Milan", ma ha rinunciato all'espediente di ingraziarsi il pubblico con il ricorso alle canzoni napoletane, perché, ha detto, "non erano presenti nella mia fanciullezza". Ha raccontato di una Milano sotto i bombardamenti e di un'Italia che sognava ancora il ritorno di Trieste e le dedicava a San Remo con "Vola Colomba" il primo grande successo di Nilla Pizzi.
E mentre sul grande schermo sfilavano le immagini che inquadravano storicamente le diverse epoche del racconto e la traduzione in inglese delle liriche per facilitarne la comprensione ai suoi "amici dell'opera" non italiani - la maggioranza nel pubblico -, Angelo Gobbato raccontava della mamma che ricamava corredi per arrotondare il bilancio familiare e del papà voglioso di sport che aveva dovuto accontentarsi del podismo perché all'abbondanza di energie da investire corrispondeva una totale mancanza di risorse finanziarie. Raccontava del papà, Giuseppe Gobbato, tecnico e dirigente di reparto nell'Isotta Fraschini che costruiva automobili da sogno e i migliori aerei dell'epoca, ma allo stesso tempo riusciva a primeggiare nello sport e a vincere gare nazionali e internazionali e a stabilire primati nella marcia, fino a entrare nella squadra di atletica per le Olimpiadi del 1936 a Berlino, dove si piazzò quattordicesimo e secondo degli italiani sui 50 chilometri, dietro il milanese Ettore Rivolta che arrivò dodicesimo e prima di Mario Brignoli, anche lui milanese.
Il racconto, che fino a quel punto si dipana tutto sullo sfondo di una Milano dominata dalla sua Madonnina, comincia a cambiare nel 1948, quando l'Isotta Fraschini sta per chiudere ma al padre di Angelo si offre la possibilità di andare a lavorare al Capo di Buona Speranza per montare le macchine del Pastificio Fattis & Monis di Bellville. Non più aerei e automobili, dunque, ma impastatrici, che però hanno il grande pregio di garantire il necessario alla famiglia, che lo raggiunge nel 1950. Angelo, nato il 5 luglio 1943, ha appena sette anni e l'impatto con un mondo nuovo, di cui non conosce la lingua e le abitudini, per un po' gli fa sentire la nostalgia di Milano. Fino a quando la scuola scopre la sua bella voce e lo avvia a conquistare, come il padre nel suo sport, tutti i più prestigiosi traguardi ai quali un giovane ambizioso e di talento potesse aspirare sia nel canto che nella conduzione, nella regia e soprattutto nell'insegnamento. Il tutto restando sempre la persona gentile e modesta che il cappellano degli italiani, padre Maletto, nelle sue memorie ricorda come la figura più vitale e positiva della comunità italiana di quegli anni. Il suo pubblico di oltre seicento voci gli ha testimoniato l'affetto che merita cantandogli dopo la fine del concerto "Happy Birthday".
Grazie Maestro Angelo Gobbato, grazie per queste due ore di grande spettacolo, di memorie, di storia e di cultura che hanno ricordato ancora una volta agli italiani e ai loro amici sudafricani che il nostro non è soltanto il paese del "bunga bunga".
Gli altri protagonisti
Gli artefici di questo trionfo, al fianco di Angelo Gobbato, sono stati il grande pianista Albert Horne, anche nelle vesti di direttore musicale; David Ledbetter alla chitarra, Frank Mallow alle percussioni e Ingrid Salzmann alla fisarmonica. Nel coro le splendide voci di Goitsemang Lehobye, soprano; Vasti Knoesen, mezzo-soprano; Michaelangelo Cloete, tenore; Mkudupanyane Senaoana, tenore; Riaan Hunter, baritono; Thesele Kemane, basso, che alla fine hanno eseguito, da solisti, ciascuno un canto nella propria lingua materna. Ballerini di tango, in un brevissimo quadretto per il Tango delle Capinere: Lisa Jeffery e Nicholas Dallas. Sound Engineer: James Muntz; lighting Benny Arendse; poster: Jack Russell Design dei coniugi Cochcroft.
Ringraziamenti a Friends of Cape Town Opera, Italian Consulate, Cape Town Opera, South African College of Music, Baxter Theatre Centre administration and technical staff.
Il ricavato della serata va al Trust per la Borsa di Studio Angelo Gobbato da assegnare a un allievo del College of Music dell'Università di Cape Town.
A complemento di questa nostra cronaca, qui di seguito un'intervista rilasciata da Angelo Gobbato prima del concerto alla giornalista Fiona Chisholm:
Singing about the Motherland
Fiona Chisholm
TO celebrate his 70th birthday and raise funds for a new opera bursary in his name Angelo Gobbato is staging Songs My Mother Taught Me on Tuesday at 7.30pm at the Baxter.
And to keep costs down he is wearing many hats – producer, soloist, publicist and special effects man.
It is giving this acclaimed opera director a real DIY experience.
“But people should not take the title too literally,” he explained. “It’s a common term for songs that belong to one’s native culture so I am saluting my beloved physical mother and Italy, my Motherland, and Milan, the city of my birth.
“It will be a tuneful programme of all-Italian songs. Some will be in Milanese dialect.
“Others are of the mountains as my Dad did his military service in the Dolomites and was a keen mountaineer. A few are from the 1920s-30s with a jazzy, swing quality in the American style. My mother Evelina, who had a lovely voice, was an embroiderer. She employed four young ladies and they’d sit around the table sewing and singing all day long. At my mother’s knee I heard all the popular music of the 1920s, 1930s and 1940s.”
Rather than make the concert a personal trip, Gobbato has tried to get into the mind of an Italian immigrant. Born in 1943 he came here aged seven leaving his relatives and friends in bustling Milan for his new home in quiet Bellville where his engineering father was setting up a pasta factory.
“In 1950, when many people left Italy, the country was rebuilding itself after the awful Fascist period under Mussolini and World War II.
“There were lots of problems and some of the music I’ll be performing reflects that period. Some songs have a very right-wing connotation, like those sung by the troops invading North Africa. Others are the left-wing revolt songs of the Partigiani (Partisans).
“My earliest song will be from 1918 and I’ll end with Domenico Modugno’s Volare (to fly), the 1958 international hit which changed the face of Italian music.
“The year marked the emergence of modern Italy when the Italian Dmocratic Republic unfurled its flag and the war-torn country began to rebuild itself.”
Gobbato has spent months trawling Google for suitable images for video clips to be projected on a screen, so enhancing the songs for which he is also providing English translations as subtitles.
“Some musically light song often had a high poetic content, while others had political and even satirical connotations. It’s important for the audience to read the words and to show them against images of the times which I selected.
“Sometimes they are in tune with the music, but sometimes oddly out of tune.
“A romantic song about lovers walking along a road in a forest can play against wonderful images of trees with the sun filtering through.
“But that song was written in 1943 when I was born and the Allies were bombing Milan’s La Scala and the Duomo. To hear this sentimental music and juxtapose it with what was actually happening, should surprise the audience.”
The hat of musical director will be worn by Albert Horne, who will conduct instrumentalists on piano accordion, guitar and percussion as well as six students of the UCT Opera School acting as backing vocalists to Gobbato.
They will join him singing Cape and Xhosa songs representing South Africa, his new homeland.
“I want to offer audiences more than an evening of light music. I hope to capture a feeling of the period and memories that can be shared with immigrants to South Africa whether Italian or not.
“That sense of leaving one’s home and surviving in a new country that has been very good to me and where I’ve been so happy.”