La fine della Federazione
Il genetliaco dell’Imperatore e la fine della Federazione fra Eritrea ed Etiopia
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- Created on Monday, 19 March 2012 10:15
Il presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, quando ha fatto gli auguri a Nelson Mandela per il compleanno, ha scritto: “In occasione del suo genetliaco...”. Nel leggerlo sono tornato indietro con la memoria di mezzo secolo. Nei primi anni sessanta, infatti, poco più che ventenne, ero il più giovane redattore del “Quotidiano Eritreo” e non avrei mai osato scrivere del “compleanno dell’Imperatore”. Il suo non era un compleanno ma un “genetliaco”. Visto che Napolitano ha usato lo stesso termine per Mandela, suppongo sia considerato il giusto modo di riferirsi ai compleanni delle persone importanti. Tanto è vero che un amico lo ha usato quest’anno per mia moglie.
L’Imperatore era Haile Sellasie (nella foto con suor Marianora Onnis, rettore magnifico dell'Università di Asmara), "Potenza della Trinità", che già molti in Giamaica e altrove veneravano da vivo come una deità con il suo rango e nome giovanili: “Ras Tafari”, da cui deriva il culto dei “rastafariani”. Indirettamente e da molto lontano era il mio datore di lavoro, in quanto il “Quotidiano Eritreo” – uno di due quotidiani in lingua italiana che uscivano in Asmara – era pubblicato dal Dipartimento per le Informazioni del Governo Imperiale Etiopico. L’altro quotidiano era il “Giornale dell’Eritrea”, stampato prima dal Corriere Eritreo e poi dal Poligrafico – diverso nome della stessa tipografia - ed emanazione della comunità italiana. Avevo cominciato qui a fare giornalismo quando avevo ancora i calzoni corti, come usava allora, perché avevo meno di quindici anni e mi era passata la voglia di andare a scuola. Un’offerta di lavoro diceva: “Vi piacerebbe lavorare in un giornale?” ed eravamo corsi in parecchi per l’intervista di assunzione. Fummo presi in tre e scoprimmo che si trattava di fare gli apprendisti “linotipisti” e non i giornalisti. Io tenni duro e nel giro di qualche mese cominciai a scrivere i primi articoli direttamente alla “linotype”, che era una macchina infernale con una caldaia piena di piombo fuso e un magazzino di matrici che quando venivano a contatto con il metallo liquido lasciavano l’impronta delle varie lettere dell’alfabeto. Alla fine del ciclo la macchina sputava “una fila di lettere”, una riga di piombo che dopo essere stata inchiostrata lasciava sulla carta una serie di parole come quelle che state leggendo. I linotipisti, se esistono ancora, sono i più abili al mondo nel leggere le parole al contrario perché è così che le vedono sulle righe di piombo confezionate dalla loro macchina. Un po' come Leonardo con la sua scrittura speculare.
Ricordare il “Genetliaco dell’Imperatore” mi ha portato a ripensare ai momenti più importanti dei miei sette anni al servizio del Governo Imperiale Etiopico. C’è stato uno di questi momenti che non potrò mai scordare perché quel giorno cessò di esistere la Federazione fra Etiopia ed Eritrea e cominciò la guerra dei trent’anni che soltanto negli anni novanta si è conclusa con la nascita dell’Eritrea indipendente. Quel giorno fui testimone inconsapevole delle azioni che scatenarono quella sanguinosa guerra civile.
Gli storici dicono che era il 14 novembre 1962. Io non ho tenuto a mente la data, ma so che il 2 novembre era l’anniversario dell’incoronazione dell’Imperatore ed era consuetudine rendergli omaggio con una riunione dell’Assemblea per ascoltare un discorso del suo rappresentante e fargli quindi gli auguri. La redazione del Quotidiano Eritreo era in quello che era stato il Corso Italia ed era stato ribattezzato Avenue Haile Sellassie, per poi diventare viale dell'unità e poi della libertà o qualcosa di simile. L’edificio ospitava l’Assemblea Eritrea e gli uffici dei giornali pubblicati dal Dipartimento delle Informazioni nelle varie lingue parlate nell’ex colonia italiana. L’Assemblea era nata dopo il referendum del 15 settembre 1952 che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, aveva fatto nascere la Federazione fra Eritrea ed Etiopia. L’Eritrea aveva un suo governo espresso appunto dall’Assemblea Legislativa e l’Imperatore aveva in Eritrea un suo rappresentante che fungeva da governatore, ma soprattutto una divisione del proprio esercito, qualche stormo dell’aviazione e un paio di unità navali nel porto di Massaua.
Quando arrivai in redazione, quella mattina, mi aspettavo una presenza militare più forte del solito, perché l’Assemblea riceveva la visita del generale Abiy Abbebe, rappresentante dell’Imperatore. Ma quel giorno la presenza militare era molto più visibile e nervosa. I colleghi italiani non mostrarono di essersene accorti, gli eritrei non ne parlavano volentieri. Il direttore Enrico Mania era già nell’aula dell’assemblea per presenziare al discorso del capo del governo Asfaha Uoldemicael. La sua testimonianza è riportata in questa pagina così com'è apparsa nel suo libro "Non solo cronache dell'Acrocoro", pubblicato una decina di anni fa in Italia.
Lavorai per qualche tempo a un articolo che stavo scrivendo, poi annunciai: “Vado a sentire cosa stanno dicendo”. Era un’abitudine: attraversavo il corridoio, aprivo una porta ed entravo nell’emiciclo dell’Assemblea per “ascoltare” l’atmosfera dell’aula più che le parole, dato che gli oratori si esprimevano in tigrino o in amarico e io potevo sperare di capire soltanto qualche parola qua e la. Questa volta non ascoltai un bel niente. Aperta la porta del nostro ufficio, mi ritrovai davanti alla canna di un mitra e alla faccia feroce di un “thor serawit” (soldato) che, muovendo l’arma in su e giù, a pochi centimetri dal mio petto, mi fece capire senza dire niente che dovevo starmene chiuso dentro. Tornai dai colleghi e dissi che secondo me stava succedendo qualcosa di importante perché non ci era mai capitato di essere sequestrati in redazione.
Non successe nulla di clamoroso, apparentemente, e poco dopo il generale e il suo seguito di civili e militari se ne andarono e finalmente potei uscire per andare al Bar Rex a prendere un caffé. Chiesi a qualche parlamentare che conoscevo cosa fosse accaduto in quella seduta a porte chiuse. “Asfaha ha parlato e noi abbiamo battuto le mani. Ha detto che certamente noi eritrei vogliamo bene all’Imperatore e continueremo a dimostrarglielo comportandoci da buoni cittadini”. Ma non era proprio così. Il capo del governo aveva detto che era giunto il momento di fare il funerale alla Federazione e di riunire l’Eritrea alla madrepatria etiopica. Solo che la questione non era stata messa ai voti. Quell’applauso fu spacciato per un voto all’unanimità e le cose per l’Eritrea e l’Etiopia non furono mai più come prima. Uscendo, e poco dopo rientrando, vidi i militari trafficare con le aste delle bandiere davanti al Palazzo dell’Assemblea. Rimasi per un po’ a guardare e poi rientrai di corsa in ufficio. Adesso sì che ero spaventato. I militari avevano ammainato la bandiera della Federazione e issato al suo posto quella dell’Etiopia. I deputati eritrei avevano votato per acclamazione, forse senza saperlo, la fine della Federazione e l’annessione della loro terra all’Impero Etiopico. L’Eritrea cessava di essere nazione sovrana per diventare una provincia dell’Impero Etiopico. Qualche giorno dopo ci fu il primo attentato in città, che ci portava a diretto contatto con la guerriglia che già insanguinava le zone periferiche della provincia e soprattutto le aree a prevalenza islamica, verso il confine con il Sudan. Dopo di allora, per sei anni, fui regolarmente inviato dal giornale ad assistere alla pantomima di ribelli eritrei che si arrendevano e giuravano fedeltà all’Impero. Ma intanto la guerriglia continuava e aumentava.
L’Eritrea tornò indipendente soltanto il 24 maggio 1991. L’Imperatore Haile Sellassie morì in circostanze mai chiarite nel 1975, durante il “terrore rosso” del dittatore Menghestu Hailemariam. Io lasciai Asmara con la mia famiglia nel 1968 e ci tornai nel 2001 con una troupe della Rai per filmare le truppe dell’Onu e i carabinieri italiani che si schieravano a cuscinetto sul confine etiopico per impedire ulteriori scontri lungo le zone che le due parti continuano a contendersi. La vera pace da quelle parti è ancora un sogno.
Ciro Migliore
La fine della Federazione nella cronaca di Enrico Mania tratta dal suo libro: "NON solo CRONACA dell'ACROCORO"
Il 14 novembre 1962 la tensione ad Asmara si tagliava con il coltello: pattuglie militari, armate di tutto punto, percorrevano lentamente, a bordo di jeep, le strade del centro. Si comportavano come se avessero conquistato una citta nemica. Ovunque, angolo dopo angolo e metro dopo metro, stanziavano, con elmetto e armi in pugno, agenti di polizia. Soprattutto nelle strade attorno al Palazzo dell'Assemblea. L'atmosfera non era di quelle aperte alla gioia. Sulle finalita della seduta assembleare, nessun annuncio. I funzionari di govemo, invitati a prendere parte, venivano perquisiti prima di accedere nel posto riservato al pubblico. Tre soli stranieri presenti: l'avvocato Alfonso Giovane, che esercitava le funzioni di avvocato generale del govemo eritreo; e, fra i giornalisti, l'autore di questa cronaca e la corrispondente della Reuter.
I deputati, anche quelli che si erano dati per ammalati, erano presenti: la polizia si era assunta il compito di ritrovarli e accompagnarli in aula.
La seduta, fatta la conta e constatata la presenza del numero legale, venne aperta da Dimitros Ghebremariam. Egli si limitava a preannunciare l'arrivo del Bituodded Asfaha Uoldemicael per una "importante comunicazione".
Il capo dell'esecutivo, gia in attesa all'esterno che finissero le formalità, entrava e prendeva posto, assieme con i sei segretari, al banco del governo.
Asfaha, avuta la parola, con tonalità di voce impercettibile, quasi stesse segretamente pregando, si infilava in frasi di circostanza per dire, nella forma piu incolore possibile, che erano trascorsi dieci anni dal momento in cui era stata riconosciuta, internazionalmente, la etiopicità degli eritrei. Dopo il preambolo, entrava nel cuore del problema, premettendo che gli eritrei non avevano mai capito "cosa fosse la Federazione: una trovata straniera che non ha nulla in comune né con la storia né con le tradizioni del popolo etiopico".
Un discorso breve, senza ricorrere agli usuali voli pindarici negli anfratti delIa storia del territorio. Per il capo dell'esecutivo il popolo eritreo si trovava in uno stato di "avvilimento", in una condizione giuridica "antistorica". Per eliminare le discrepanze che andava elencando, proponeva ai membri dell'Assemblea l'accoglimento di una mozione per
l'abrogazione, sic et simpliciter, della Federazione. Le sue parole, mondate di retorica, erano giunte quasi in sordina, come se si fosse trattato di un'azione privata, di parole dette in confessionale e non, come era, in una sala assembleare, i cui membri erano i co-autori e spettatori di un avvenimento tremendamente vero e, per quel che vale, storico. Una costituzione, che era costata tanta fatica, semplicemente veniva stracciata.
Una sala, quella dell'Assemblea, che tornava a essere poca cosa. Durante la guerra italo-etiopica, da sala della Federazione dei fasci dell'Eritrea, era stata trasformata in "sala stampa" e, dopo il conflitto, tornava ad essere la sede della Federazione fascista. Lo stesso balcone, dal quale avrebbe parlato Mussolini, era inserito in un corpo di fabbrica che era un fascio stilizzato. Durante l'occupazione britannica divenne sede temporanea del Municipio e, poi, sala di lettura e quindi di sede del C.R.I.E., oltre a sede di associazioni professionali, di associazioni sportive e di circoli ricreativi della comunita italiana.
Ora la grande sala stava per perdere la sua ultima identità, appena reciso il cordone ombelicale dello status federativo. Nel più completo silenzio Asfaha leggeva la mozione proposta:
"CONSCI del fatto che il nome di Federazione non trova riscontro sia nella nostra storia che nella nostra tradizione; CONVINTI del fatto che essa fu imposta al popolo perché potesse divenire un'arma di disgregazione nelle mani dei nostri nemici; RESICI CONTO dell'impossibilità di realizzare qualsiasi pro a beneficio del nostro popolo fin tanto che sussisteranno due sistemi e due amministrazioni e che a nulla valgono se non a disperdere forze ed energie; PERSUASI che per un popolo come il nostro, che si sente di essere etiopico, continuare a vivere secondo le impostazioni dettate da altri non torna a beneficio della sua unità; INTERPRETANDO il pensiero e le aspirazioni del nostro popolo, DECIDIAMO UNANIMAMENTE perché la Federazione, con tutto il suo significato e le sue implicazioni, venga, da questo momento, definitivamente abolita. Da oggi viviamo in COMPLETA UNIONE con la Madrepatria, l'Etiopia".
Erano le 10,55 di mercoledì 14 novembre 1962. I deputati non avevano ancora sciolto le loro perplessita e allontanate le loro paure, quando una bordata di applausi, diretta da un'invisibile regia, partiva dal settore riservato al pubblico. I battimani erano così fragorosi e calorosi da coinvolgere, a mana a mano, i deputati. Un gesto che si tramutava in assenso incondizionato allo proposta "mozione", per divenire consenso per "acclamazione".
D'altronde, c'erano dei precedenti. Per applauso i deputati avevano abolito la bandiera, il sigillo e lo stemma. Battere le mani era diventata un'espressione di voto collettivo per sfuggire all'assunzione di una responsabilità individuale.
La Federazione, ottenuta con grandi sforzi e difficili negoziati, aveva esalato, così, con un applauso, l'ultimo respiro!
The short life of the Federation
The Federation of Ethiopia and Eritrea was a structure between Eritrea and Ethiopia. It was created by the approval of the Federal Act in Ethiopia and the Eritrean Constitution on 15 September 1952.
Prior to the annexation of Eritrea the Chief Justice of Eritrea was removed and the official Eritrean languages were eliminated in favor of Ethiopia's national language Amharic. During the Federation the encroachment of the Ethiopian Crown was felt on the Chief Executive of Eritrea. This was in direct contravention of the UN Resolution 390-A(V) which established the Federation.
The Federal structure, or some semblance of it, existed between 15 September 1952 and 14 November 1962. On 14 November 1962 the Federation was officially dissolved and Eritrea was annexed by Ethiopia. This was done by Haile Selassie I pressuring the Eritrean Assembly to abolish the federation.