Mandela profeta
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- Created on Wednesday, 09 April 2014 09:33
Spenti da mesi ormai i clamori e i riflettori, Tata Madiba riposa nel grembo della sua terra, in mezzo alla sua gente. Un poco alla volta la sensazione di perdita irreparabile va affievolendosi, ma la sua presenza si sente ancora fortissima. Lui è uscito dalla storia, è andato oltre il tempo. La sua opera rimarrà per sempre nel suo nome: Mandela.
Ho letto tantissime cose scritte su di lui e sulla sua straordinaria vita. Alcune retoriche, ovvie e banali, altre molto belle e appropriate all'eccezionalità del personaggio. Mi hanno confermato nella convinzione di aver condiviso un tratto di strada, sia pure a doverosa distanza - ma nel maggio 1994 ero a dieci metri da lui quando compiva gli ultimi passi della sua lunga marcia verso la libertà nello stadio di Soweto -, con un essere umano straordinario. Un po' più umano della media e un po' meno, se il suo essere sovrumano può in qualche misura diminuirne l'umanità, se non altro perché agli umani è difficile riconoscersi nelle imprese sovrumane.
Nelle mie letture ho visto qui e lì affiorare le parole Santo, Profeta, Messia, ma come artifici dialettici a sostegno di tesi che non andavano oltre. Io invece vorrei spingermi più in là e vedere nella figura di Mandela la mano di Dio che interviene nella storia dell'umanità. Un mistero in più per quanti cercano di capire da dove veniamo e dove siamo diretti.
Mandela, con forza sovrumana, ha rifiutato la libertà quando gli è stata offerta senza la contemporanea libertà incondizionata di tutti i suoi compagni di prigionia e ha accettato di trattare soltanto da uomo libero. Così ha liberato non soltanto sè stesso ma tutta l'Africa. Dove ha trovato la forza per rifiutare la libertà anche quando la sua vita sembrava ormai vicina al suo termine naturale, quando aveva raggiunto il traguardo dei settant'anni nelle prigioni di un mondo in cui la vita media degli indigeni sudafricani non raggiunge i 50 anni? Quella forza poteva venirgli soltanto da Dio, da quel Dio che altre volte ha usato uomini per cambiare la storia dell'umanità. Uomini che sono stati chiamati profeti.
Mandela il profeta, il Mosé dell'Africa: ecco cosa mi sarei aspettato di poter leggere fra gli elogi funebri. Non affermazione retorica, ma accettazione di un dato di fatto. Secondo me Mandela è il Mosé dell'Africa, è nato per esserlo e lo è stato con disinvoltura, forse non rendendosi conto di quanto potesse essere straordinaria la sua vita per uomini ordinari. Perfino il percorso adolescenziale è in qualche misura lo stesso di Mosé. Certo, Mandela non è affidato a una cesta sul Nilo per scampare al rischio di essere ucciso, ma resta orfano giovanissimo ed è affidato al proprio re, come Mosè al Faraone, perché possa crescere forte, intelligente e istruito per affrontare la missione che lo attende. E quando arriva il momento si spoglia delle vesti regali e si presenta al suo Faraone armato soltanto di una forza che gli viene da Dio per ultimargli: "Libera il mio popolo".
"Libera il mio popolo", dice Mandela, "dagli libertà e dignità" o ti colpirò con la Lancia della Nazione. Così come Mosè aveva minacciato tribolazioni tremende sul popolo d'Egitto. Il Faraone sudafricano lo imprigiona, ma non gli torce un capello, forse percepisce che a sorreggerlo è una forza divina. Chiama così su di sè le tribolazioni, che sono terrore, violenza, insicurezza, odio, morte, guerra, vergogna, isolamento, disprezzo. Ventisette anni durano le piaghe, ventisette anni la prigionia, ma alla fine il Faraone è costretto ad arrendersi perché non può sperare di fermare una missione ispirata da Dio, la missione mosaica di Nelson Mandela, il Mosè dell'Africa.
Lo sapeva Mandela di essere un predestinato? Sì, lo sapeva, altrimenti non avrebbe potuto resistere quando gli offrirono di trattare mentre era ancora in prigione e aveva ormai settant'anni. Avrebbe umanamente pensato che non gli restasse più il tempo necessario per portare a termine i suoi progetti. Non lo fece perché i suoi non erano progetti. La sua era una missione affidatagli da una forza divina che gli aveva anche dato la certezza che sarebbe comunque riuscito a portarla a termine.
Lo sapevano i suoi nemici che Mandela era uno strumento di Dio? Sì, lo sapevano, altrimenti avrebbero temporeggiato ancora un po', lo avrebbero ucciso o lasciato morire in prigione, accettando anche il rischio di una sollevazione popolare che comunque, senza più lui in campo, sarebbero riusciti (o almeno si sarebbero illusi di poter riuscire) a domare, sia pur con perdite gravissime, che tuttavia non hanno mai spaventato i tiranni.
Mandela santo? No. Mandela profeta, strumento di Dio. Il santo è un uomo qualsiasi che riesce a elevarsi fino ad arrivare ad attingere alla sorgente della potenza divina. Quello che fa lo decide lui e quello che ottiene lo chiede a Dio. Il profeta è l'intervento di Dio nella storia dell'umanità, un prescelto che fa la volontà di Dio. Il Santo vive nella storia, scrive la storia, è la storia. Il profeta interviene a cambiare la storia. Così come si servì di Mosè per liberare il popolo d'Israele, Dio si è servito di Mandela per liberare il popolo africano.
Era religioso Mandela? Non lo so e francamente non mi interessa. Di sicuro non pronunciava il nome di Dio invano, ma le sue azioni, le sue opere, i suoi pensieri figurerebbero egregiamente fra i principi e i comandamenti di qualsiasi religione. Dignità e libertà della persona umana, capacità di perdonare e di convivere, ricerca continua della pace sono i fondamenti della dottrina di Mandela, ma lo sono altrettanto della dottrina cristiana, di quella induista e della mussulmana. Ecco perchè il suo messaggio convinceva e conquistava tutti.
Ma perché l'apartheid ne subì quasi passivamente il devastante intervento?
Il fatto è che Mandela non era semplicemente un rivoluzionario o un guerriero tribale, non era lo Yomo Kenyatta del Sud Africa. Mandela era colui che metteva in confusione i capi boeri e scardinava alle fondamenta le elaborate teorie che sorreggevano l'impalcatura razziale dell'apartheid. Mandela era colui che esistendo e operando dimostrava falsa la teoria della chiesa riformata olandese che era stata posta a supporto dello sviluppo separato e che certificava l'inferiorità della razza nera, secondo la Bibbia, e la necessità di tutelarla perché potesse crescere e svilupparsi al riparo della superiorità dei bianchi. Mandela distruggeva questo alibi con la sua sola presenza, lo polverizzava con i suoi successi professionali nel mondo dei bianchi, l'annullava con la sua superiotà morale e intellettuale.
Lo sapeva Mandela tutto questo? Certamente, visto che quando gli chiesero quale epitaffio o elogio funebre volesse sulla propria tomba, prese la penna e scrisse: "Mandela". Sapeva che non occorrevano aggettivi per definire il suo ruolo nella storia dell'umanità. Sapeva che il suo nome sarebbe diventato la definizione del suo intervento nella storia e sapeva che il significato della parola Mandela sarebbe per sempre stato, dopo di lui, lo stesso di Mosè per gli israeliti, lo stesso di Gandhi per gli indiani. Mandela: il liberatore.
Ciro Migliore