Pillole di storia degli alpini
Tuesday, 15th October 2013 

di Corradino Palmerini *

1.    Costituzione del Corpo degli Alpini

Ufficialmente gli Alpini nascono con Regio Decreto del 15 ottobre 1872, che stabiliva la costituzione di 15 Compagnie alpine sperimentali. Ma sulle origini dei soldati di montagna sappiamo che già Alessandro Magno ne fece uso. Dovendo conquistare una città della Partia eretta alle basi di una rupe e protetta da una robusta cinta di mura, chiese ai suoi generali di costituire un reparto di uomini che provenivano dalle zone delle Alpi Illiriche. Diede disposizione che al suo segnale scendessero dalla rupe facendo grande baccano e rotolando massi a valle. Schierò l’esercito in posizione di attacco e mandò un’ambasceria in città a chiedere la resa. Al loro rifiuto mosse verso la città dando il segnale ai suoi “Alpini” che erano in posizione. Sentendosi attaccati alle spalle e con l’esercito schierato, si arresero e Alessandro vinse senza colpo ferire grazie alle urla e ai massi che rovinavano a basso. Fu poi l’Imperatore Ottaviano Augusto a inserire i soldati di montagna nel suo esercito, dapprima con i “Liguri”, poi con la prima Legione Alpina cui seguirono la seconda e la terza Legio Julia che avevano per emblema un lupo grigio in campo verde racchiuso in un cerchio. La prima Legione era di stanza sulla Dora Riparia, la seconda nel Conversano e la terza in Val d’Aosta. Erano gli anni della nascita di Cristo e la regione valdostana fu pacificata e fu impiantato un castrum – fortificazione – da dove poi nacque Augusta Pretoria, l’attuale Aosta, dove fu eretto l’Arco di Augusto.

Tornando al 1872, il capitano Giuseppe Domenico Perrucchetti, del Regio Esercito costituito appena dopo l’Unità d’Italia, memore della esperienza di Garibaldi nella seconda Guerra d’Indipendenza che con i suoi Cacciatori delle Alpi nel 1854 superò il Ticino e nella battaglia di San Fermo sbaragliò gli Austriaci, liberando Como e Varese, chiese e ottenne l’autorizzazione e costituì le prime quindici compagnie alpine. Negli anni a seguire il numero degli Alpini crebbe fino a diventare tale da formare 7 Reggimenti, fino 1887. Il battesimo di sangue, come i Bersaglieri costituiti nel 1836 l’ebbero nella battaglia di Goito nella prima Guerra d’Indipendenza, gli Alpini l’ebbero in Africa dove furono mandati per lavare l’onta subita a Dogali nel gennaio del 1887. Gli Alpini, al comando del colonnello Menini, combatterono la sfortunata battaglia di Adua del 1° marzo 1896 coprendosi di gloria ma anche di tanto sangue. Nella battaglia di Adua cadde eroicamente il tenente di Artiglieria da Montagna Aurelio Grue da Atri (Teramo), decorato di Medaglia d’Oro al valor Militare.

Gli Alpini parteciparono poi, dall’ottobre del 1911, alla Campagna di Libia contro i Turchi. Grande prova di eroismo fu data dall’8° Reggimento Alpini e dal suo comandante, il colonnello Antonio Cantore, che diventerà poi l’eroe delle Tofane nel 1° conflitto mondiale. I combattimenti furono molto aspri, nel teatro libico di Cirenaica e Tripolitania, tra le nostre truppe e quelle turche appoggiate da arabi e beduini e maggiormente a Derna, Assaba, Ettangi, la rocca di Casrein, a Ras Mdauar e Tobruk, a El Merg nelle boscaglie di Tecniz. Nell’ottobre del 1914, quando in Europa scoppiava la guerra mondiale, le nostre truppe alpine rientrarono in Italia e l’anno successivo furono di nuovo impiegate nell’epopea della grande Guerra o come alcuni storici la definirono 4^ Guerra d’Indipendenza per la riannessione di Trento e Trieste.

2.    La Grande Guerra

Con l’attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, avvenuto a Sarajevo in Bosnia il 28 maggio 1914 da parte del giovane anarchico Gavrilo Princip, ebbe inizio un conflitto che coinvolse tutta l’Europa e in seguito anche l’America. Tale conflitto vide opposti gli Imperi Centrali (Austria- Ungheria e Germania) alla Triplice Alleanza (Francia, Inghilterra e Russia). In un secondo tempo all’alleanza degli Imperi centrali aderivano la Bulgaria e l’Impero Ottomano, mentre alla Triplice Alleanza si associavano Italia, Belgio, Romania e Serbia ed infine Stati Uniti, Canada, Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda. Nel 1914, all’epoca dell’attentato di Sarajevo, l’Italia era legata agli Imperi Centrali da un patto di alleanza “difensivo” che obbligava i firmatari ad intervenire nel caso in cui una delle potenze firmatarie fosse stata attaccata da altra potenza; l’aggressione unilaterale da parte dell’Austria alla Bosnia liberava dunque l’Italia dall’impegno consentendole, quindi, nel 1915 di scendere in campo a fianco della Triplice e poter attuare quella quarta Guerra d’Indipendenza che Garibaldi voleva compiere e fu fermato dopo la vittoriosa battaglia di Bezzecca, dove rimase storica la sua risposta a Vittorio Emanuele II : “Obbedisco”.



L’Italia non tradì il patto, come si disse, fu l’Austria infatti ad aggredire la Bosnia senza consultare l’alleato, come obbligava il patto di alleanza. Fu una guerra combattuta con sanguinose e inconcludenti battaglie sulle trincee più alte d’Europa, dentro crepacci di ghiaccio o gallerie scavate nel cuore delle montagne, con temperature che paralizzavano la mente e le membra dei combattenti. Sulle Alpi si combatteva una guerra diversa da quella sull’Isonzo o sul Carso e terribilmente dura tra gli Alpini italiani e i Kaiserjäger austriaci. Lotte titaniche combattute ad altezze vertiginose, in condizioni proibitive e con scarse possibilità di rifornimento da ambo le parti. Furono molti gli episodi che suscitarono lo stupore degli stessi avversari; ne è uno specchiato esempio la frase pronunciata dal comandante austriaco, costretto ad abbandonare la posizione sul Monte Nero, che fu il battesimo di sangue degli Alpini il 16 giugno 1915 per una incredibile impresa compiuta dagli Alpini del 3° Reggimento: “Ci hanno obbligati ad abbandonare le nostre posizioni, quindi giù il cappello davanti agli Alpini”.

Oltre al Monte Nero, tante sono le cime e i gruppi delle Alpi dove i nostri Reparti alpini diedero testimonianza di valore e d’eroismo: dal Monte Canin, al Pal Grande e Pal Piccol, la Cresta di Timau ed il Frainkofen in Carnia, il Siera, il Peralba, le Tofane, dove fu colpito a morte il generale Cantore, il “papà Tone” come lo definivano affettuosamente i suoi Alpini, Comandante della Terza Divisione che nel 1929 diventerà Divisione “Julia”. A seguire, lungo la linea di confine, il Lagazuoi, il Passo Falzarego, il Sass de Stria, il Col di Lana, le Pale di San Martino, la Marmolada, il Monte Tomba e il Grappa, l’Ortigara, il Baldo e Altissimo, il Pasubio, il Monte Cauriol, fino all’Adamello e al Passo del Tonale. In ognuno di questi luoghi tanti eroi si immolarono. Spiccano tra loro le figure esemplari dei martiri irredentisti, quei trentini sudditi dell’Impero asburgico che si arruolarono volontari negli Alpini. Fulgidi esempi Cesare Battisti e Fabio Filzi che sul Monte Corno, anziché salvarsi con la fuga, combatterono fino alla fine. Catturati e portati a Trento, dopo un processo farsa, furono giustiziati, dopo condanna a morte, per impiccagione nel Castello del Buon Consiglio.

3.    Dalla Grande Guerra alla seconda Guerra mondiale.
Nasce l’Associazione Nazionale Alpini.

Dalla rotta di Caporetto, a fine ottobre 1917, e la ritirata fino al Piave, il Friuli e l’alto Veneto subirono dapprima le angherie - con soprusi, razzie e saccheggi di derrate - da parte dei Tedeschi, ai quali gli Austriaci avevano chiesto supporto di truppe, e poi dagli Austroungarici. Ci furono vari combattimenti sulla linea del Piave. Nella battaglia del Solstizio, 19 giugno – 7 luglio 1918,  si tentò di sfondare la linea senza esito positivo;  a fine ottobre, con il Piave in piena, fu decisa la testa di ponte per attraversare il fiume e sferrare l’attacco della battaglia finale quando, il 3 novembre, le nostre truppe entrarono in Vittorio Veneto dove dal campanile del Duomo venne calato uno striscione tricolore, salvato chissà come dai saccheggi, e dove rintoccò il Campanone, unico superstite delle razzie di bronzo per fare proietti. Il giorno successivo fu siglato l’Armistizio cui seguì la Dichiarazione della Vittoria da parte del Gen. Armando Diaz, mentre contemporaneamente le nostre truppe entravano a Trento e Trieste.

Nel dopoguerra i veterani alpini cominciarono a sentire la necessità di aggregazione e, nel maggio 1919, nacque a Milano l’Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.) con sede nella Galleria Vittorio Emanuele II. A Udine uscirono le prime pagine del quindicinale “L’Alpino”, fondato e diretto da Italo Balbo, tenente degli Arditi, e nel settembre venne organizzata sull’Ortigara la Prima Assemblea dell’A.N.A. Il capitano Arturo Andreoletti tenne il discorso ufficiale davanti a trentamila Alpini provenienti da tutta Italia, con grande stupore degli organizzatori. L’anno successivo fu la volta di Cortina d’Ampezzo. Cominciarono quindi a costituirsi le Sezioni ed i Gruppi. All’Adunata Nazionale di Roma del 1929, voluta in occasione del Trattato di Conciliazione tra Stato e Chiesa dell’11 febbraio, gli Alpini abruzzesi, che parteciparono numerosi a quell’evento, promossero la costituzione della Sezione Abruzzi. Roma fu anche il punto di partenza e di auspicio per convogliare il reclutamento dei nostri Alpini in uno sperato Battaglione Abruzzi.

E’ del 13 aprile 1935 la costituzione del Battaglione Alpini “L’Aquila”, che prenderà la Bandiera di Guerra del disciolto Battaglione Monte Berico, annoverato nel 9° Reggimento Alpini, Divisione Julia, assieme ai Battaglioni Vicenza e Val Cismon. E’ dello scrittore e poeta abruzzese Gabriele D’Annunzio il motto “D’Aquila Penne, Ugne di Leonessa” del Battaglione L’Aquila. Nel secondo conflitto mondiale, il 28 ottobre 1940 fu ordinato l’attacco alla Grecia, quasi a ripicca dell’alleato tedesco che aveva invaso la Romania di sorpresa. Mussolini disse che Hitler avrebbe letto dai giornali la notizia della guerra alla Grecia. Quella che doveva essere un’esercitazione per spezzare le reni ad Atene, dove con poche Divisioni si sarebbero portati i Greci all’armistizio, si rivelò invece una tragedia. Combattimenti con fiumi  in piena e scarsi rifornimenti dal ponte di Perati alla Vojussa, dal Gori-i-Topit al Tomori, dal Trebescin allo Scindeli, dal Bregianit al Golico, dal Pindo al Monte Chiarista, dove cadde eroicamente il caporal maggiore paganichese Mario Rossi, decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare. A lui è intitolato il Gruppo Alpini di Paganica, di cui io faccio parte e del quale per diversi anni sono stato Capogruppo.

Il 23 aprile 1941, dopo che i Tedeschi erano entrati in Grecia dalla Macedonia, avendo avuto in poche settimane il sopravvento sui Greci, fu firmato l’Armistizio a Salonicco. Quanto costò la Campagna di Grecia? Lo disse lo stesso Mussolini il 10 giugno 1941: 13.502 Caduti, 38.768 feriti e 4.391 congelati di terzo grado, aggiungendo in massima parte salvati ma mutilati, 8.952 congelati di secondo grado, ma completamente guariti, 4564 congelati in forma lieve. A questi dobbiamo aggiungere gli Alpini del Battaglione Gemona, già tanto duramente provati in battaglia, annegati nel siluramento della nave “Galilea”, adibita a trasporto truppe, ad opera d’un sommergibile britannico in Adriatico, davanti a Corfù, mentre tornavano in patria. Perirono in quella tragica notte 21 ufficiali, 18 sottufficiali e 612 alpini della Julia. Vennero ripescati e si salvarono solo in 246. La loro guerra era finita in una nuova tragedia.

4.    Dalla Grecia alla Russia.

Mussolini voleva sdebitarsi con l’alleato tedesco, che era intervenuto in Grecia per salvarci da una difficile situazione. Così fece mandare in Russia il CSIR (Corpo di Sedizione Italiano in Russia). Ma non bastava! Fu deciso allora di allestire l’ARMIR: ne faceva parte anche un Corpo d’Armata Alpino che Hitler voleva impiegare nel Caucaso. Poi vene il contrordine e gli Alpini furono dirottati in pianura, sul Don. Ed anche qui, pur con armi superate, le penne nere combatterono valorosamente. Non mi dilungherò sugli eventi bellici, racconterò qui di seguito solo le vicende del nostro Battaglione L’Aquila. Il 14 agosto 1942 partiva ancora per la guerra, destinazione Russia, rimesso a nuovo dopo il rimpatrio dalla Grecia. Ci fu un episodio che commosse i “veci” del Btg. L’Aquila. Alla partenza da Gorizia il maggiore Luigi Boschis, Comandante del Battaglione, aveva salutato la moglie e la sua bambina, la piccola Lalin. Arrivati sul Don, durante la costruzione delle baracche, gli Alpini fecero una sorpresa al loro Comandante; una bella casetta con steccato e sul frontone incisero a fuoco “Villa Lalin” in ricordo di quella bambina piangente lasciata in Italia. Gli Alpini aggiunsero un altro particolare davanti alla porta: legato ad un trespolo di legno, fu piazzato un falco catturato nei dintorni, quasi a rappresentare l’aquila, emblema del Battaglione abruzzese.

Sulle sponde del Don, in prossimità del bosco di Witeliszki, era attestato il Btg. L’Aquila, mentre davanti c’erano il Vicenza e il Val Cismon, sulla destra il Tolmezzo. Quando i Russi sfondarono il fronte, furono chiamati a tamponare le falle che si erano create nella zona dove erano impegnate le Divisioni Sforzesca, Ravenna e Cosseria.  Fu un mese di aspri combattimenti, durante il quale il nostro Battaglione fu messo a presidio del Quadrivio di Selenyj Jar, il “Quadrivio di sangue” dove c’era un palo con quattro tabelle che indicavano rispettivamente la direzione delle piste di Komaroff, Krinitschnoja, Jvonowka e Deserowatka. La battaglia infuriò nei giorni di Natale, per la quale il tenente Giuseppe Prisco (Peppino) fu decorato di Medaglia d’Argento al V.M. Il Battaglione L’Aquila venne decimato: dei 51 ufficiali, 52 sottufficiali e 1752 alpini, dopo la ritirata il 19 marzo 1943 rientrarono dalla Russia in Italia solo 3 ufficiali, tra cui il Ten. Prisco, e 152 alpini.

Anche i superstiti del Btg. Monte Cervino e i Battaglioni fratelli del 9° Reggimento, il Vicenza e Val Cismon, parteciparono alla resistenza che non permise ai Russi di entrare a Rossoch, sede del Comando del Corpo d’Armata Alpino. Al decimato Btg. L’Aquila fu dato ordine di ritirata il 17 gennaio 1943, quando i Russi avevano sfondato il fronte minacciando di rinchiudere l’intero Corpo d’Armata dentro una grande sacca. Era la sacca di Nikolajewka, dove nella battaglia del 26 gennaio 1943 all’ordine perentorio del Gen. Luigi Reverberi “Tridentina avanti!” fu sfondata la linea russa in prossimità del terrapieno della ferrovia Waluiki- Nikolajewka, che sembrava insormontabile; memorabile fu l’impegno del Btg. Morbegno. Di lì ebbe inizio la lunga marcia della ritirata, così ben descritta in “Centomila gavette di ghiaccio” di Giulio Bedeschi, nel “Sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern e ancora in “Alpini della Julia” di Aldo Rasero.

Il 19 marzo 1942 i superstiti del Battaglione L’Aquila e della Julia passarono il Brennero e arrivando alla stazione di Bolzano accadde un fatto imprevedibile. Uno zelante ufficiale ebbe la peregrina idea d’ordinare il ritiro agli Alpini del loro cappello per sostituirlo con bustine di Fanteria. Le reazioni di ufficiali e di alpini furono vivacissime e ad esse seguirono i fatti: le bustine vennero scaraventate ovunque e si tennero i loro cappelli. Un alpino, eccitatissimo, urlò al tenente Prisco: “Non ce l’hanno preso i russi, il cappello, e adesso pretendono di togliercelo quattro fessi d’imboscati!”. In quella stazione ci fu poi l’incontro e l’abbraccio di tutti gli Alpini del Battaglione L’Aquila con il loro Comandante Boschis, che prima della battaglia di Natale era rientrato in Patria per malattia. Cosa pensavano i russi degli Alpini? Potrebbe bastare una sola risposta, che troveremo alla fine della Campagna di Russia, nel febbraio 1943: il Bollettino militare russo n. 630 del’8 febbraio 1943 così diceva: “Gli alpini italiani devono ritenersi imbattuti nel suolo di Russia”.

Vogliamo ricordare quei nostri eroi del Battaglione L’Aquila, con le parole di uno di loro: un valoroso alpino, ottimo ufficiale, uomo esemplare, un caro amico di tutti gli Abruzzesi ed egli stesso abruzzese d’adozione, “andato avanti” nel 2001, l’avvocato milanese Peppino Prisco:


“NATALE 1942 – C’era Gesù, tra noi, nelle trincee presso il Don, a tenerci compagnia nel gelo, se no, di che saremmo vissuti, se neppure Lui ci avesse parlato nel silenzio notturno della steppa? Chi può vivere soltanto di gelo, di fame, di fuoco? E allora Lui ci sussurrava il nome della mamma, ne adoperava la voce per offrire l’augurio e il dono di Natale: “Ritorna figliolo … noi ti aspettiamo”. Innumerevoli gomitoli grigio-verdi, rannicchiati ed infissi nella neve, erano una linea bianca presso il Don, ma pochi, per la vastità di Jvanowka, Golubaja Kriniza, Nowo Kalitwa: molti soltanto a Selenyj Jar, al piccolo cimitero nato dal sangue degli alpini de “L’Aquila”. Il bambino parlava a noi, si soffermava in silenzio e inatteso innanzi a Loro, li attendeva per portarli con sé nella notte di Natale. Noi superstiti restavano sgomenti, quel mistero si esprimeva soltanto in dolore: sopra la neve, sotto la neve legava l’unica paternità, una stessa sorte. Ma noi siamo tornati. Non c’è più Natale eguale a quell’ultimo nostro, ogni anno siamo là, su quella neve, a chiamarli. Fratelli nostri, noi Vi ricordiamo”.

Bepi De Marzi, compositore insigne e direttore del Coro “I Crodaioli” di Cortina d’Ampezzo, che ha composto le cantate “Signore delle cime”, “Il Golico”, “L’acqua zè morta”, “Josca la rossa”, “Benia Calastoria”, ha scritto e armonizzato una “canta” per ricordare il sacrificio del Battaglione L’Aquila, posto a difesa del Quadrivio di Seleny Jar. Eccone il testo.

L’ULTIMA NOTTE
Era la notte bianca di Natale,
ed era l’ultima notte degli alpini,
silenzioso come frullo d’ale
c’era il fuoco grande dei camini.
Nella pianura grande e sconfinata
e lungo il fiume parea come un lamento,
una nenia triste e desolata
che gemea sull’alito del vento.
Cammina, cammina, la casa è lontana
la morte è vicina e c’è una campana
che suona, che suona din don dan.
Tuttora tace a illuminar la neve,
neppure s’alza l’ombra di una voce,
lo zaino è divenuto un peso greve,
ora l’arma s’è mutata in croce.
Lungo le piste sporche e insanguinate
son mille e mille le croci degli alpini,
cantate piano non li disturbate,
ora dormono il sonno dei bambini.
Cammina, cammina la guerra è lontana,
la casa è vicina e c’è una campana
che suona, ma piano, din don dan , dan dan !!

5.    Dall’8 settembre 1943 a oggi.

Dopo l’8 settembre 1943, l’Esercito italiano si trovò allo sbando: il Re era fuggito da Roma, imbarcandosi ad Ortona per Brindisi assieme al Comandante le Forze Armate, il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Si costituirono reparti di “fiamme verdi” che si aggregarono  all’Esercito di Liberazione; si uniranno tutti gli Alpini che rientreranno dai Balcani. Lo Stato Maggiore dispone che venga costituito un Battaglione di Alpini abruzzesi, giovani volontari, richiamati, “veci” che sono scesi dal Veneto dopo l’8 settembre per animare la Resistenza nella zona della Majella. Il Battaglione si chiama Abruzzi, ma il 25 novembre riprenderà il vecchio nome “L’Aquila” con le compagnie che portano i gloriosi numeri 93^, 108^, 143^ e 119^ armi da accompagnamento (poi mortai da 120 mm). Lo comanda il maggiore Augusto De Cobelli e assieme al “Piemonte” e al Battaglione bersaglieri ”Goito” al comando del colonnello degli alpini Galliano Scarpa e vice il maggiore Aldo Rasero, che si era battuto nella zona del Gran Sasso con un gruppo di formazioni partigiane contro i Tedeschi.

Il momento peggiore, per gli Alpini, è quello di svestire il loro grigio verde e d’indossare il cachi delle esercito inglese, ma conservano il loro cappello mentre i bersaglieri accettano anche l’elmetto dove applicano il piumetto. Gli Alpini l’elmetto non lo vollero e lo appesero allo zaino: “Servirà da catinella per l’acqua, ma in testa no, nemmeno sotto le cannonate. Se dovesse toccare si morirà con la penna in testa, non con quella padella!”. A metà marzo 1945 gli Alpini tornano sul fronte, sulla “Linea Gotica”, e le posizioni dei Battaglioni L’Aquila e Piemonte sono completamente allo scoperto, a contatto con le linee avanzate tedesche, a una distanza tra i 100 e 400 metri. La posizione del Btg. L’Aquila è la più delicata e in un’azione muore il maggiore De Cobelli, decorato di Medaglia d’Oro alla memoria. Ogni notte sono colpi di mano, azioni di pattuglia, cannonate e bombe a mano, finché la mattina del 19 aprile, Piemonte e L’Aquila attaccano Casa Carrara, a quota 163, e poi a quota 363 San Chierico. I Tedeschi cedono e nella pianura s’intravede Bologna. Il 21 aprile gli Alpini del Piemonte, subito dopo i Bersaglieri del Goito, entrano in città. Nel pomeriggio scende con una massacrante marcia tra le colline anche il Btg. L’Aquila. Rimarranno nel capoluogo emiliano in servizio d’ordine, poi il 29 aprile alpini e bersaglieri riprendono l’avanzata: arrivano a Bergamo e Brescia. Il primo maggio il Btg. L’Aquila è a Como e il 2 a Torino, dopo aver combattuto contro nuclei di tedeschi che resistono ancora disperatamente nella zona di Pavia.

Sempre il 2 maggio, la 108^ Compagnia del Btg. L’Aquila raggiunge Edolo, occupa il Passo del Tonale e il 4 maggio un plotone di Alpini entra a Bolzano. Il 5 maggio termina il ciclo operativo: il Battaglione L’Aquila è schierato tra lo Spluga e lo Stelvio, il Piemonte effettua azioni di rastrellamento in Val Camonica, nel bergamasco e in Valtellina. Il 18 maggio i due Battaglioni riceveranno la Medaglia d’Argento al Valore. Il 31 gennaio 1946  il Piemonte diventerà Btg. Aosta del rinato 4° Reggimento Alpini e il 1° aprile 1946 il Btg. L’Aquila costituirà il nucleo attorno al quale risorgerà l’8° Alpini, il Reggimento di Cantore in Libia. Quando nel 1949 l’Italia farà parte della Alleanza Atlantica, poco a poco verrà ricostituita la Brigata Alpina Julia e, dopo, le Brigate Alpine Taurinense, Tridentina, Orobica e infine la Cadore. Il 22 luglio 1991 è stata soppressa la Brigata Orobica e nel 1997 la Brigata Cadore.  Il 15 maggio 2001 è stata soppressa anche la Tridentina e il 5° Alpini e il 5° Artiglieria da Montagna sono passati alla Julia. In questo riordinamento delle Truppe Alpine, il Btg. L’Aquila, dal 1975 di stanza nella Caserma Rossi della città capoluogo d’Abruzzo, diventa 9° Reggimento e passa alle dipendenze della Brigata Alpina Taurinense distaccandosi, con grande rammarico, dalla Julia, alla quale aveva appartenuto fin dalla sua costituzione.

Sul Vessillo della Sezione Abruzzi dell’A.N.A. campeggiano 12 Medaglie d’Oro al Valor Militare, meritate nelle varie guerre:
1)    Aurelio Grue da Atri, Adua 1896;
2)    Giovanni Esposito da Loreto Aprutino, Derna Libia 1912;
3)    Alfredo Di Cocco da Popoli, Monfenera 1917;
4)    Antonio Ciamarra da Napoli, Monte Tomba 1917;
5)    Silvio Di Giacomo da Acciano, Kristobasileo Grecia 1940;
6)    Luigi Rendina da L’Aquila, Vendrescia Grecia 1941;
7)    Enrico Rebegiani da Chieti, Ivanowka Russia 1942;
8)    Ugo Piccinini da Barisciano, Selenyj Jar Russia 1942;
9)    Giuseppe Mazzocca da Farindola, , Ivanowka Russia 1942;
10)    Gino Campomizzi da Castel di Ieri, Ivanowka Russia 1942;
11)    Italo D’Eramo da Rocca di Mezzo, Sacca di Nikolajewka Russia 1943;
12)    Lorenzo Brasadola da Calvi dell’Umbria, Selenyj Jar Russia 1943.

Con i nomi di questi eroi si completano queste pillole di storia alpina, con particolare riferimento agli Alpini abruzzesi e ai gloriosi Reparti in cui sono stati inquadrati. La Sezione Abruzzi dell’A.N.A. vanta oggi nelle sue file circa 11 mila Alpini associati e un’organizzazione di Protezione Civile alpina tra le più efficienti ed organizzate d’Italia.

* CORRADINO PALMERINI è nato a L’Aquila nel 1952 e vive a Paganica. Alpino di leva, ha prestato servizio a Pontebba come esploratore nel Btg. Gemona, 8° Reggimento della Brigata Alpina       “Julia”. In congedo, è stato per molti anni dirigente del Gruppo Alpini “Mario Rossi” di Paganica, costituito nel 1957, uno dei Gruppi più attivi e ben organizzati della Sezione Abruzzi dell’ANA, gemellato con i Gruppi Alpini di Pinzolo (TN) e Tarzo (TV). Del sodalizio è stato Capogruppo, fino al 2010, per quattro mandati. Interessato dall’epopea delle truppe di montagna, è un appassionato studioso della storia degli Alpini.

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