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- Created on Monday, 06 May 2013 12:01
"Metti in moto"
Di G.M. Howes
Fotografie di Paddy Howes
Traduzione di Ciro Migliore
"Metti in moto". Urgenza e panico nella voce che ruppe il silenzio gelato (-8 gradi centigradi). Le parole uscite dalle labbra della nostra compagna di viaggio distrussero irrimediabilmente la quiete della nostra notte di campeggio a Kidney Pan, nella Riserva Mabuasehube.
Eravamo arrivati al campo dei guardacaccia nel tardo pomeriggio. Mentre compilavamo i moduli necessari per registrare la nostra presenza, conversando con il personale, avevo detto di non aver mai visto leoni in quella zona, ma di averli soltanto sentiti nelle mie visite precedenti. Era presente per caso uno studente americano di zoologia di un programma di scambio, il quale aveva avuto assegnata una località fra le più remote, con poche o nulle comodità e un camioncino di 6 tonnellate quale mezzo di trasporto. Avendo sentito il mio commento, ci ha raccontato la sua esperienza della sera prima.
Aveva fatto parte di una squadra che costruiva servizi igienici proprio nel campo dove noi avremmo trascorso la notte. A fine giornata il personale era andato a dormire sul cassone dell'autocarro e lui si era ritirato nella sua tenda adatta a una bicicletta (one man bicycle). Nel corso della notte era stato svegliato da un grosso peso che gli gravava addosso e senza stare tanto a pensarci aveva mollato una sberla a quel rigonfiamento amorfo. Solo che il rigonfiamento si era rivelato un leone. Schiaritasi la testa abbastanza per rendersi conto di aver schiaffeggiato un leone, aveva gridato al personale: "Mettete in moto" e loro erano arrivati a soccorrerlo.
Con questa informazione appena acquisita ci dirigemmo verso il campo, ci sistemammo, cucinammo la cena e la mangiammo prima di ritirarci ciascuno nella propria tenda, mia moglie e io in quella sul tetto della nostra macchina e i nostri amici in una piccola tenda a cupola sul terreno.
Il grido pieno di urgenza e di panico arrivò verso le 2 di notte. Quando chiesi in che modo potessi rendermi utile, mi chiesero di aiutarli a tornare alla loro Landrover. Fu così che uscii attraverso le due cerniere che tengono chiusa la tenta e mi trovai sul tetto della macchina. E nel raggio di luce della mia torcia distinsi 3 leoni dietro la loro tenda. Li informai che i leoni sembravano essere assolutamente rilassati e il marito uscì dalla tenda. Dire che non fosse adeguatamente vestito per uscire nell'aria gelata della notte sarebbe non rendere giustizia ai fatti. In maglietta, calzoncini e a piedi scalzi coprì di corsa i dieci metri fra la tenda e la macchina, armato di una coperta imbottita e una torcia. Una volta aperto il portello posteriore della Landrover chiamò la moglie e lei uscì dalla tenda in camicia da notte e portando due cuscini. Adesso tutto quello che restava loro da fare era di riscaldarsi sul pavimento metallico del veicolo, che a quell'ora doveva essere freddo come il ghiaccio. A completare il quadro, mia moglie se ne uscì con la pretesa di fare la pipì, per cui toccò a me scendere dal sicuro rifugio della tenda sul tetto per andare a prendere una bacinella. Quando tornai scoprii che era in preda ad attacchi di nausea provocati dalla grande eccitazione.
I leoni se ne stettero a osservare tutta la pantomima con ovvio interesse ma senza rendersi conto pienamente dello sforzo richiesto, tanto che alla fine non ci fu neanche un applauso. Certi critici sono proprio difficili da accontentare!
Dopo una nottata alquanto scomoda, ci svegliammo con un forte bisogno di un caffé, ma la famiglia dei nostri visitatori era ancora ben presente nel campo. Restammo così a guardare quei gattini di ragguardevoli dimensioni che giocavano con le nostre cose.
Si impossessarono dei nostri calzini stesi ad asciugare e con essi giocarono al tiro alla fune finchè finirono a brandelli, poi attaccarono la mia sedia di legno da campeggio e distrussero i cuscini di tutte le sedie. Uno si affezionò anche alla mia caffettiera e andandosene se la portò via, prendendosi anche un badile nel caso gli dovesse servire.
Infine se ne andarono e noi potemmo cominciare a raccogliere tutte le nostre cose sparse nella savana. Per il caffé si dovette usare un'altra caffettiera perché la mia non si riuscì a ritrovarla. Poi scendemmo nella depressione per osservare lo strano comportamento della locale popolazione di meerkats. Il momento di grazia però fu improvvisamente interrotto da un'altra urgente chiamata dall'accampamento. Il più velocemente possibile, ma senza correre, tornammo sui nostri passi e trovammo la moglie del nostro amico che fumava una sigaretta e aveva assoluto bisogno di darsi una calmata. Un po' alla volta ci raccontò come si fosse spinta appena oltre il limitare del pianoro per soddisfare un bisogno naturale e come, a bisogno quasi soddisfatto, si fosse voltata a guardarsi intorno e si era trovata a fissare una leonessa sdraiata poco più in là, con la testa appoggiata sulle zampe, a studiare pigramente il comportamento delle femmine della specie umana.
Inutile dire che raccogliemmo tutte le nostre cose e ce ne andammo.
Quando uscimmo dalla riserva chiesi alle guardie di tenere gli occhi aperti in cerca della mia caffettiera. Dovendoci tornare entro un paio di mesi, pensavo che, se per un miracolo l'avessero ritrovata, sarebbe stata una bella storia da raccontare mostrando la caffettiera con i segni dei denti dei leoni. A titolo di incoraggiamento promisi di premiarli con alcune camicie.
Mesi dopo, quando tornai, la guardia era già vicino alla mia macchina prima ancora che si fosse fermata, caffettiera in mano.
La caffettiera è stata riparata e usata in diversi altri viaggi nel Kalahari, fino a quando fu completamente distrutta, in un'altra notte da tregenda, da una iena maculata. Tale è la vita di una caffettiera da campeggio: primitiva, brutale e selvaggia, mai noiosa.
Altri leoni
di G.M. Howes
Fotografie di Paddy Howes
Traduzione di Ciro Migliore
In una frizzante sera tipica del Kalahari, ci ritrovammo a Bosogobolo, nella Riserva Mabuasehube, seduti attorno al fuoco. La fiamma sprigionata dalla legna di "hardwood" era al massimo e la pentola a tre piedi (potjie pot) emanava uno stuzzicante aroma di stufato d'agnello.
Mi sembrò che un po' di luce in più avrebbe reso giustizia al pasto e mi incamminai verso il mio Landcruiser per cercare una candela da mettere sul tavolino da campeggio. Uno dei miei compagni di viaggio pensò di facilitarmi i movimenti buio dirigendo verso di me il fascio di luce pallida di una torcia. Quando mi chinai a frugare in una delle cassette di plastica che avevamo scaricato in precedenza dal veicolo, la mia attenzione fu distratta da un allarmato "attento" proveniente dal fuoco da campo. Alzai la testa a nella fioca luce vidi un leone maschio direttamente davanti a me, a non più di dieci metri. Piano piano mi accosciai e cercai di immobilizzarmi per quanto sia umanamente possibile. Dopo un'eternità si voltò e si allontanò.
Il fuoco fu ravvivato e il pasto consumato in circostanze non proprio ideali: tensione e cibo non vanno molto d'accordo. Appena finito consigliai agli occupati del secondo veicolo del nostro gruppo di munirsi di un faro e ispezionare la zona circostante per vedere se sarebbero riusciti a trovare il nostro visitatore, adesso sparito alla vista... almeno stando alle apparenze.
La depressione ha un perimetro di 9 chilometri, per cui riuscivo a seguire il loro avanzare tenendo d'occhio il faro che ondeggiava da destra a sinistra per illuminare tutta la selvaggina nelle vicinanze, in maggioranza sciacalli e lepri.
Mia moglie e io decidemmo allora di ritirarci nella tenda sul tetto del Landcruiser. Stavamo calando in un sonno profondo quando fummo bruscamente risvegliati da un rumore sul retro del veicolo. Spiando attraverso la reticella della finestra della tenda, vidi il nostro visitatore che masticava il nostro contenitore d'acqua ormai vuoto e la bacinella per le abluzioni. Nell'ambiente arido del Kalahari, per la maggior parte dell'anno l'acqua è un bene raro e lui aveva ovviamente sentito l'odore del residuo d'acqua nei contenitori.
Disturbata dal mio muovermi sotto la minuscola tenda, la belva guardò nella mia direzione e si mosse lungo la fiancata del veicolo, nel preciso momento in cui mia moglie decise di dare un'occhiata all'esterno. Le dimensioni e la vicinanza del leone furono una vista traumatizzante. Si accasciò sul suo giaciglio e si mise a tremare... il freddo e lo spavento sommati provocano abitualmente di queste reazioni.
Cresciuto nel mito di dover essere il protettore della famiglia, mi sentii in dovere di fare qualcosa per rimediare alla situazione. Mi spostai verso la parte anteriore della tenda, sollevai un tantino uno dei teli e puntai la torcia direttamente negli occhi di quell'animale magnificamente spaventoso. Ingoiando la paura, battei le mani e gridai "voetsak" (un po' come vaffan...). Non ottenni l'effetto desiderato. Il leone non si mosse e continuò a guardarmi con disprezzo. Il suo sguardo mi diceva chiaramente: "Non osare parlarmi con quel tono, questo è il mio territorio".
Incapace di risolvere il problema, la mia azione successiva fu dettata dal vecchio proverbio che dice che la prudenza è meglio del valore, per cui richiusi i lembi della tenda e lentamente tornai a stendermi sul mio giaciglio.
Dopo un po' il secondo veicolo fece ritorno e informai i compagni della necessità di essere prudenti perché il leone era ancora nel campo. Il problema a questo punto fu aggravato dal fatto che gli occupanti del veicolo russavano a volume piuttosto alto e per questo nel corso del viaggio li avevo incoraggiati ad accamparsi sempre più lontani da noi. In questa ultima notte la loro tenda era ad almeno 60 metri dalla nostra e montata a terra. Non se la sentirono di correre un simile rischio, per cui l'unica scelta rimasta fu di dormire nel veicolo. Uno si arrampicò sui sedili per raggiungere lo spazio di carico nel retro, protetto da una copertura, mentre l'altro si distese attraverso i due sedili davanti. Senza coperte e cuscini non sarebbe stata una delle loro notti più confortevoli.
Il resto della notte trascorse senza ulteriori emozioni. Mia moglie insistette per dormire dentro la cabina del veicolo con asciugamani sui finestrini per sottrarsi allo scrutinio degli occhi sornioni dell'enorme leone.
L'alba ci trovò che camminavamo lungo il perimetro del campo, con in mano una indispensabile tazza di caffé, a ispezionare le tracce del nostro buon vicino e amichevole leone. Scoprimmo così che aveva anche un compagno e che erano stati dappertutto. Trovammo il posto dove uno dei due si era accucciato e l'impronta che aveva lasciato denunciava dimensioni davvero impressionanti. Seguendone i movimenti scoprimmo che uno dei due si era anche interessato al veicolo dei nostri amici. Le impronte si fermavano proprio accanto allo sportello della macchina, dove l'animale aveva sostato, probabilmente domandandosi se all'interno vi fosse qualcosa da mangiare o da bere.
Questi incontri sono sempre esperienze estremamente intimidanti e spaventose. Il leone nel suo ambiente è il predatore alfa e non soltanto è grande, molto più grande di quanto ci si aspetti, ma è soprattutto un animale selvatico e non si può che cercare di immaginare cosa potrebbe decidere di fare.
Finora, grazie al cielo, ho potuto constatare soltanto una certa curiosità da parte loro e speriamo che sia così il più a lungo possibile.