- Details
- Created on Tuesday, 14 February 2012 16:07
Il Giorno del Ricordo è stato celebrato domenica mattina a Johannesburg per iniziativa dell'Associazione Giuliani di Johannesburg. Nel corso della cerimonia sono state deposte corone di fiori sotto la lapide che ricorda le vittime delle persecuzioni razziali lungo i confini orientali dell'Italia alla fine della seconda guerra mondiale. Una corona è stata deposta dal presidente dei Giuliani del Sud Africa Nicolò Giuricich e dal consigliere del Cgie Giuseppe Nanna, l'altra dal presidente del Comites del Gauteng Salvatore Cristaudi e dal consigliere del Cgie Riccardo Pinna. Padre Giuseppe De Lama ha celebrato la Santa Messa. Luogo della celebrazione è stata Piazza Italia, nel parco del Club Italiano di Johannesburg.
L'importanza della celebrazione è stata sottolineata nei discorsi pronunciati da Nicolò Giuricich, Salvatore Cristaudi e Riccardo Pinna.
Nicolò Giuricich ha letto il sguente messaggio del Presidente dell’Associazione Giuliani nel Mondo, Dario Locchi:
Cari amici,
sono otto anni che celebriamo il “Giorno del Ricordo”, che la legge del 2004, su iniziativa dell’on. Menia e con voto quasi unanime del Parlamento, ha stabilito divenisse occasione solenne per far conoscere a tutti gli italiani una pagina della nostra storia scomoda e perciò troppo a lungo rimossa.
Per troppo tempo, infatti, l’orribile capitolo delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, di un intero popolo, è stato taciuto agli italiani, ed oggi la lunga rimozione di quella tragedia collettiva, intrisa di atrocità e di orrori, appare in tutta la sua ingiustizia.
Il “Giorno del Ricordo” ha vinto la congiura dell’oblio, e ha fatto finalmente giustizia di tanti ritardi, di tanti silenzi e di tante colpevoli omissioni, e finalmente nei libri di testo si parla delle foibe e dell’esodo e nelle scuole si fanno seminari ed incontri.
Le numerose iniziative che si svolgeranno in tutta Italia e nei nostri Circoli sparsi per il Mondo hanno, dunque, proprio la finalità di riaffermare il dovere della memoria, soprattutto per le nuove generazioni, attraverso la conoscenza di quegli eventi.
Perché non possiamo certo dimenticare le sofferenze inflitte a migliaia di istriani, fiumani e dalmati assolutamente immuni da ogni colpa se non quella di essere e di sentirsi italiani.
Gli eccidi del 1943 e del dopoguerra, compiuti contro migliaia di inermi e di innocenti al confine orientale dell’Italia, furono infatti un crimine contro l’umanità.
In quei momenti si intrecciarono drammaticamente nelle nostre terre un giustizialismo sommario, rivalse sociali, un parossismo nazionalista e un disegno di sradicamento della presenza italiana.
Le nostre genti furono vittime di un moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri contorni della pulizia etnica.
Con la disumana ferocia delle Foibe si consumò una delle peggiori barbarie del secolo scorso.
A seguito di quei tragici eventi furono oltre 300mila gli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia che dovettero abbandonare le loro terre, le case, il lavoro, gli amici e gli affetti per scampare alla ferocia di una persecuzione inaudita.
Molti esuli vissero a lungo negli oltre cento campi di raccolta disseminati nella Penisola, in condizioni di vita difficilissime, in totale emergenza e assoluta provvisorietà.
E in gran numero (si parla di quasi 100.000 persone), come voi sapete bene, furono poi costretti ad emigrare all’estero.
A voi, che siete in gran parte figli di quella storia, voglio manifestare, a nome dell’Associazione giuliani nel Mondo, un sentimento di affettuosa amicizia, di sentita condivisione e di solidarietà sincera.
Ma pur celebrando oggi il “Giorno del Ricordo”, dobbiamo guardare al futuro e non restare prigionieri del passato.
Il secolo delle idee assassine fortunatamente è alle nostre spalle. Le nostre popolazioni hanno imparato a loro spese i costi dei nazionalismi, dei totalitarismi e degli odi etnici.
Nel momento in cui anche la Croazia si appresta ad entrare nell’Unione Europea e lo stesso trattato di Osimo appare per molti aspetti superato, bisogna aprire una fase nuova, guardando al futuro, alla caduta dei confini, all’integrazione e allo sviluppo di queste nostre terre dell’adriatico orientale, troppe volte nel passato contese ed insanguinate.
Il solenne concerto del maestro Muti, in Piazza dell'Unità d'Italia a Trieste, alla presenza dei tre Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia, e quello svoltosi il 3 settembre dello scorso anno all’Arena di Pola, con l’incontro fra il Capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, e quello croato, Ivo Iosipovic, hanno sicuramente rappresentato un significativo passo in avanti nella direzione del consolidamento dei lineamenti di civiltà, di pace, di libertà e di tolleranza della nuova Europa che da oltre cinquant’anni stiamo costruendo.
Un’Europa nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi che esclude naturalmente ogni revanscismo.
In questa prospettiva europea vanno affrontati i problemi ancora irrisolti, la cui soluzione va però perseguita senza forzature polemiche, senza strumentalizzazioni politiche, ma con equilibrio e buon senso.
Confidiamo nella capacità di superare il tempo dello scontro e della rivalsa e di creare un nuovo clima di comprensione reciproca che riconosca, da un lato, la realtà plurale della regione istriana, dove si sono incontrate e integrate nei secoli culture diverse, tutte autoctone e degne di uguale tutela e, dall’altro, il diritto degli esuli istriani, fiumani e dalmati di sentirsi radicati su quel territorio, che non fa più parte dello Stato italiano, ma dove è stata ed è ancora forte la presenza della comunità italiana.
Ma il presupposto indispensabile per una vera riconciliazione è giungere finalmente al pieno, reciproco riconoscimento dei crimini commessi dal fascismo e dal comunismo durante e al termine della seconda guerra mondiale.
Vanno infatti riconosciuti apertamente, da una parte, il dramma degli esuli giuliano-dalmati e, dall’altra, le violenze e le discriminazioni del regime fascista nei confronti delle popolazioni slovene e croate, sia tra le due guerre che negli anni 1941-43.
Voglio concludere citando le bellissime parole della preghiera scritta dal Vescovo di Trieste, Mons. Antonio Santin, per le vittime delle foibe, che viene letta durante la significativa cerimonia che si svolge ogni anno alla Foiba di Basovizza:
“Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra che indica nella giustizia e nell’amore le vie della pace”.
Le foto che illustrano la commemorazione sono del nostro amico e collaboratore Girolamo Florio.
Giorno del Ricordo 2012
« La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata [...] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero. »
Legge 30 marzo 2004 n. 92
Saluto del Presidente Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del Giorno del Ricordo
Ringrazio vivamente il ministro Riccardi, per aver presieduto alla consegna dei riconoscimenti e per aver portato non un saluto rituale ma, con profondità di motivazioni, la limpida voce del
governo; il Presidente De Vergottini, che nel parlare a nome degli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, ha in qualche modo evocato - per lo stesso suo bagaglio personale di studioso e di
docente -l'apporto che gli esuli hanno dato, rientrati in Italia, allo sviluppo e al progresso del nostro paese ; e infine il Professor Pupo, per lo spessore della sua riflessione storica. I loro interventi hanno composto in efficace sintesi i motivi ispiratori del Giorno del Ricordo.
E' la sesta volta che lo celebro qui, e credo di poter dire che di anno in anno abbiamo sempre arricchito di nuovi punti di vista e di nuovi accenti la scelta della memoria e dell'omaggio che il Parlamento ha voluto sancire per legge. Ci siamo riusciti grazie a molti contributi di qualità, e per tutti vorrei ricordare quello che per primo ci diede una splendida persona, il caro amico scomparso Senatore Paolo Barbi.
Ora, prima di svolgere qualche breve considerazione, desidero anzitutto rinnovare il profondo sentimento di vicinanza e di solidarietà mio personale e delle Istituzioni repubblicane ai
famigliari - che sono con noi oggi - delle vittime delle orrende stragi delle foibe e ai rappresentanti delle Associazioni che coltivano la memoria di quella tragedia e dell'esodo di
intere popolazioni.
Impegnarsi a coltivare la memoria e a ristabilire la verità storica è stato giusto e importante. Si è posto fine a "ogni residua congiura del silenzio - come già dissi lo scorso anno - a ogni forma di rimozione diplomatica o di ingiustificabile dimenticanza rispetto a così tragiche esperienze". Dopo l'evento di Trieste del luglio 2010 - il concerto della riconciliazione insieme ai Presidenti sloveno e croato - lo scorso anno ho incontrato a Zagabria e poi a Pola il Presidente croato. L'incontro si è concluso con una dichiarazione congiunta che, richiamando i valori comuni, afferma: "In ciascuno dei nostri Paesi coltiviamo come è giusto la memoria delle sofferenze vissute e delle vittime e siamo vicini al dolore dei sopravvissuti a quelle sanguinose vicende del passato. Nel perdonarci reciprocamente il male commesso, volgiamo il nostro sguardo all'avvenire che con il decisivo apporto delle generazioni più giovani vogliamo e possiamo edificare in un'Europa sempre più rappresentativa delle sue molteplici tradizioni e sempre più saldamente integrata dinanzi alle nuove sfide della globalizzazione".
Ora - come ha sostenuto il Prof. Pupo nella sua bella e approfondita relazione - "le diverse memorie di frontiera cominciano a conoscersi e a rispettarsi, nella loro insopprimibile
soggettività". Anche così si salda una frattura storica, ci si incontra nel comune destino europeo. Va dunque colta la suggestione del Prof. Pupo che ci invita ad affrontare quella che ha definito la "parabola drammatica dell'italianità adriatica" all'interno di una visione storica più larga, che ci consenta di penetrare in tutta la loro complessità le contrapposizioni e lacerazioni che le nostre aree di confine hanno vissuto nella fase conclusiva della II Guerra mondiale e subito dopo. E tra i drammi di quel tormento storico ci furono perfino conflitti, che ebbero un costo atroce di vite umane, tra le formazioni partigiane che combatterono dalla stessa parte contro il nazifascismo.
Sì, serve ricordare anche per ripensare a tutti i fatali errori al fine di non ripeterli mai più. In questa prospettiva e con questi sentimenti è mia intenzione, in una prossima già
programmata visita in Friuli, rendere omaggio alle vittime dell'eccidio di Porzûs. Ci avviamo, come sapete, alla conclusione delle celebrazioni del Centocinquantenario dell'Unità d'Italia, e voglio in questa sede ringraziare per la loro presenza a Roma in quella occasione i Presidenti della Slovenia e della Croazia che hanno voluto così testimoniare la loro amicizia per il nostro paese e la loro adesione ai princîpi e valori democratici su cui poggia la costruzione europea. E' la visione europea che ci permette di superare ogni tentazione di derive nazionalistiche, di far convivere etnie, lingue, culture e di guardare insieme con fiducia al futuro. E' in Europa che dobbiamo trovare nuovi stimoli, facendo leva anche sulle minoranze che risiedono all'interno dei nostri Paesi e che costituiscono nello stesso tempo una ricchezza da tutelare, un'opportunità da comprendere e cogliere fino in fondo. Lo dobbiamo tanto alle generazioni che hanno sofferto nel passato quanto alle nuove, cui siamo in grado di prospettare società più giuste e più solidali, capaci di autentica coesione perché nutrite di senso della storia, ricche di una travagliata e intensa esperienza di riconciliazione e di un nuovo impegno di reciproco riconoscimento.