Gli alberi di Natale in tempo di crisi: più artificiali e più inquinanti
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- Created on Friday, 07 December 2012 11:14
Roma - La crisi investe anche il Natale e i suoi simboli. Se quest’anno la metà delle famiglie non rinuncerà all’albero e agli addobbi, sono sempre di più quelli che tireranno fuori dalla soffitta gli abeti di plastica dell’anno prima. Meno romantici, ancor meno ecologici e soprattutto quasi mai “made in Italy”, visto che in più di 8 casi su 10 provengono dalla Cina. Eppure sostituiscono nel 50 per cento dei casi l’albero della tradizione, quello “vero”, per cui si stima che quest’anno gli acquisti caleranno del 15 per cento.
Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, sulla base di un’indagine sul territorio. Ma a ricordarci i tempi che corrono -osserva la Cia- saranno soprattutto le dimensioni degli alberi naturali, che quest’anno diminuiranno di almeno una taglia in 4 casi su 5. E non solo in salotto, ma anche in piazza. Visto che anche molti enti locali e aziende private hanno dovuto ridurre il budget da dedicare a luci e decorazioni, almeno quanto le famiglie. Infatti, se nei vivai diminuisce il numero di abeti e le loro dimensioni, a “tenere” rispetto all’anno scorso è solo l’export, diretto soprattutto in Germania, a cui è orientata praticamente tutta la produzione di grandi dimensioni.
Ma tornando alle famiglie, -sottolinea la Cia- l’82 per cento si orienta su esemplari economici, spendendo mediamente tra i 20 e i 50 euro per i “naturali” e tra i 10 e i 35 per i sintetici. Solo un 12 per cento è disposto a superare i 50 euro per ospitare nel proprio salotto alberi più ingombranti ed evidenti, che superino almeno i 140 centimetri. Mentre a concedersi il lusso di superare i due metri di altezza sono solo il 6 per cento degli italiani, che arrivano a destinare tra i 200 e i 250 euro per quelli di plastica e più di 300 per quelli veri.
Alla base del crescente successo degli abeti sintetici -continua la Cia- ci sono comunque, oltre al drastico calo del potere d’acquisto degli italiani, anche problemi produttivi: da una parte la flessione della produzione interna, che negli ultimi dieci anni ha superato il 20 per cento, dall’altra la progressiva diminuzione delle importazioni da Norvegia, Svezia e Finlandia. A cui si aggiungeranno tra qualche anno gli effetti della terribile siccità di quest’estate, che ha seccato milioni di abeti, soprattutto i più giovani, che quindi sarebbero arrivati sul mercato nel giro di pochi anni. L’abete, infatti, -spiega la Cia- si commercializza non prima dei 5 o 6 anni di età, il tempo perché raggiunga un’altezza commerciabile (almeno un metro), per poi essere venduto all’ingrosso a cifre che oscillano tra i 6 e i 7 euro a pianta. Con questi numeri, soprattutto il trasporto su lunghe distanze diventa sconveniente, perché più costoso del prodotto trasportato.
Ma se la necessaria austerity delle prossime Festività spesso orienta le famiglie all’acquisto dell’albero “di plastica”, riciclabile praticamente all’infinito, i danni ambientali di questa scelta sono importanti. Mentre i naturali, oltre a contribuire alla salubrità dell’aria di casa, -spiega la Cia- una volta ripiantati permettono di accrescere il patrimonio boschivo collettivo, quelli “finti” arrivano in Italia dopo aver percorso migliaia di chilometri, e quindi avendo già inquinato moltissimo. Senza contare che una volta buttati via impiegano più di 2 secoli a degradarsi con un impatto ambientale devastante. Ma non solo, la maggior parte delle volte sono trattati con sostanze chimiche con cui bisogna convivere per quasi un mese dall’apertura della confezione. - (NoveColonne ATG)