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Tuesday, 15th October 2013 

Mitridatismo italico

Mario Angeli dall'Italia -

Mitridate (132-63 a.C.), re del Ponto (che corrispondeva a una parte dell’attuale Turchia), irriducibile nemico di Roma per oltre un trentennio, sanguinario quanto pochi altri, assassino di amici, figli, mogli, escogitò un metodo intelligente per evitare di essere avvelenato: ogni giorno assumeva dosi crescenti di veleno così da diventarne immune.

Oggi si chiama mitridatismo ”l’assuefazione del corpo a sostanze tossiche ottenuta mediante la progressiva ingestione di tali sostanze in dosi sempre maggiori” (Dizionario Gabrielli), fino a rendere l’organismo quasi immune a tali sostanze.

Nelle scorse settimane la Corte Costituzionale ha bocciato il provvedimento legislativo con cui il governo Berlusconi introdusse il blocco delle retribuzioni degli alti magistrati e funzionari dello Stato: per intenderci, compensi superiori a 90 mila euro l’anno.

Non c’è dubbio che l’alta Corte abbia assunto questo provvedimento basandosi su principi giuridici inattaccabili ed anche, perché no, ritenendo opportuno tutelare le retribuzioni dei propri componenti; ma non su questo mi voglio soffermare, piuttosto sottolineo il divario enorme e assolutamente iniquo tra simili retribuzioni e quelle della stragrande maggioranza degli italiani, che spesso ricoprono responsabilità non inferiori a molti magistrati o alti funzionari e sono come loro laureati.

Del resto la prepotenza delle corporazioni è storicamente inattaccabile da qualsiasi riforma e chi ha il potere di essere il controllore di sé stesso è quasi comprensibile che sia particolarmente indulgente quando affronta questioni che riguardano direttamente i propri interessi.

E poi, qui si tratta di danaro, che a nessun livello sociale è inviso: al più, è guardato con aristocratico distacco da chi ha altri che glielo procurano e curano al posto suo; “pecunia non olet”, si dice ancor oggi, “i soldi non puzzano”, utilizzando un’affermazione che lo storico Svetonio attribuisce all’imperatore Vespasiano, rivolta al figlio Tito, il quale si lamentava che il padre avesse introdotto una tassa sull’urina, che a quel tempo veniva raccolta e commercializzata per essere utilizzata nelle concerie e nelle fullonicae, cioè le moderne lavanderie-tintorie: il danaro è danaro, non puzza mica.

Ma, rientrando all’oggi, se gli italiani, alla mercé di tagli, licenziamenti, disoccupazione, tassazione senza freni, corruzione politica ad ogni livello, mala amministrazione, non sono ancora insorti in modo violento, al di là dei mugugni e delle imprecazioni, bisogna credere che siano dotati di un tasso di sopportazione o di incoscienza davvero eccezionali oppure che la quotidiana esposizione ai veleni suddetti li abbia resi incapaci di insorgere con tutta la forza di cui un popolo inferocito è capace.

E pensare che in altri tempi bastò spesso molto meno per scatenare violenze e far emergere l’antica ed invincibile anima ferina dell’uomo.

Meglio così, perché nessuno, dotato di elementare senso civico, auspicherebbe una rivolta armata; però da questo estremo alla supina accettazione che sembra essersi impadronita degli italiani, ce ne passa!

Ecco,  gli italiani si sono mitridatizzati e reagiscono distrattamente anche di fronte alle rumorose cadute di uomini  o partiti che sembravano o si proclamavano l’incarnazione della incorruttibilità, della trasparenza, del rifiuto di ogni cedimento al compromesso; mi riferisco all’IDV ed al suo leader fondatore, su cui, in questi giorni, si sono aperte le cataratte delle critiche e delle contestazioni, per questioni che forse non hanno nulla di penalmente rilevante, ma moltissimo di eticamente riprovevole: insomma, sullo sfondo c’è sempre la pecunia, che non puzza ma lascia una scia vischiosa su chi la maneggia o la lascia utilizzare con troppa disinvoltura.

Nel 1992 la reazione del popolo alla corruzione della prima repubblica fu assai dura, spesso violenta, e furono spazzati via senza pietà partiti ed uomini politici; la nuova classe dirigente ci disse che la seconda repubblica nascente sarebbe stata immune dai vizi della prima; oggi dobbiamo amaramente prendere atto che il vento ha fatto il suo giro, ritornando sostanzialmente al punto di partenza, ma così si sono gettati via vent’anni di speranze, tanto che la classe politica e le istituzioni che la occupano manifestano  una condizione di avanzata senescenza, nonostante il belletto con cui tentano di coprire lo scempio del loro aspetto.

Mentre faccio queste considerazioni, mi balza alla mente all’improvviso la scena finale del film Morte a Venezia, di Luchino Visconti: sulla spiaggia deserta l’anziano musicista siede a contemplare il fantasma della sua ossessione amorosa e piano piano muore, mentre il trucco con cui cercava di mascherare la decadenza fisica della vecchiaia si scioglie colandogli sul volto.

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