Domenica Ferucci
Tuesday, 24th March 2015 

L’8 marzo si celebra in Italia la Festa della Donna

Domenica Ferucci

Domenica Ferucci è la nostra "Donna Italiana del 2007"

La festa della donna in Italia è l’8 marzo, in Sud Africa il 9 agosto. Noi della Gazzetta, senza voler fare una secessione, abbiamo deciso di utilizzare la ricorrenza italiana per celebrare ogni anno una donna della nostra comunità che si sia particolarmente distinta per il suo impegno civile e sociale, per l’imprenditorialità o anche semplicemente per aver svolto in modo esemplare il suo ruolo di moglie e di madre o anche di figlia. Non è un concorso. E’ una nostra scelta, di cui siamo gli unici responsabili. Cominciamo oggi

celebrando la nostra “Donna del 2007” nella signora Domenica Ferucci di Paarl, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (1986), nata a Faenza il 5 agosto 1923, in Sud Africa dal 1954.
Raccontare Domenica Ferucci, non è cosa da poco perché è come occuparsi di una mezza dozzina di persone allo stesso tempo. La sua vita quotidiana è così intensa, le sue attività così tante che basterebbero a riempire non una soltanto ma diverse vite. Oggi, in questa sede, vogliamo parlare non dell’imprenditrice, alla quale tuttavia ridedichiamo una biografia pubblicata da “Azzurro” nel marzo del 1988, ma della donna impegnata nelle attività comunitarie, sociali e culturali, dell’italiana che ancora si commuove quando parla di patria e di bandiera, della connazionale che ogni giorno riempie il bauletto della sua macchina di uova, frutta, verdura e ciambelle fatte in casa da distribuire a una sua lista segreta di bisognosi, amici e conoscenti. Senza fanfare, senza cerimonia, quasi a muso duro, come per non sentirsi ringraziare, ma con gli occhi che sorridono quasi maliziosamente ed esprimono buoni sentimenti. Occhi che in almeno una occasione hanno anche pianto in diretta televisiva.
Era il febbraio del 2006 e Domenica Ferucci era stata personalmente invitata dall’allora ministro per gli italiani nel mondo, Mirko Tremaglia, al Primo Convegno delle Donne Italiane nel Mondo, una di una “ristretta e appropriata rosa di nomi eccellenti, esponenti di vari settori del mondo dell’imprenditoria, della ricerca, della cultura, dell’arte, del volontariato, che sono immagine dell’Italia all’estero, per far conoscere sempre meglio questa realtà all’Italia”. E l’Italia al femminile in quell’occasione era rappresentata al convegno anche dal Premio Nobel Rita Levi di Montalcino.
“Mi chiamo Domenica Ferucci e vengo dalla cittadina di Paarl, nella Repubblica del Sud Africa – disse quano venne il suo turno di presentarsi -. Un particolare saluto al Ministro per gli Italiani nel Mondo, che ringrazio per questo graditissimo invito; ne sono molto onorata.
“Certo ne è trascorso di tempo da quando, nel 1954, lasciai la mia Faenza con le poche cose che una valigia poteva contenere. Purtroppo l’Italia di quei tempi non poteva promettere più di tanto a chi, nonostante avesse una gran voglia di lavorare, non disponeva dei capitali necessari per sperare di concretizzare le idee che la piccola famiglia Ferucci cominciava ad avere.
“Scegliemmo il Sud Africa perché sentimmo che là, in quel paese emergente, avremmo trovato gli spazi necessari e quelle opportunità che ci avrebbero consentito di dimostrare le nostre qualità imprenditoriali. Certo, agli inizi non fu per niente facile, furono anni di duro lavoro e anche di privazioni. La tenacia romagnola però non ci ha mai abbandonato e nel giro di alcuni anni una bella azienda ha potuto nascere, crescere e portare lavoro e benessere a tante famiglia meno abbienti. Mentre mio marito svolgeva continuamente il suo lavoro di terrazziere e piastrellista, io cominciavo il mio cammino imprenditoriale con 2 galline, che poi divennero 4, 10, 20 e così via, fino a raggiungere un volume di 250.000 polli (di cui 20.000 giornalmente macellati e distribuiti ai vari punti di vendita), mentre 200.000 uova raggiungevano, sempre giornalmente, prevalentemente i supermercati.
“Riuscii, nei tempi più favorevoli, a impiegare fino a 400 dipendenti, offrendo loro non solo un lavoro ben remunerato, ma anche a molti di essi una casa e una buona istruzione ai loro figli.
“Oggi sono molto felice e non solo per i risultati raggiunti in terra straniera, ma anche per aver potuto dare il mio contributo a tenere alto il nome dell’Italia nel mondo e per aver potuto constatare che il mio duro lavoro e i risultati raggiunti non sono passati inosservati alla mia Madrepatria, questo “Bel Paese” dove sono fiera di essere nata e del quale non ho mai smesso di sentirmi parte integrante. Grazie ancora per l’ospitalità, siete tutti nel mio cuore”.
Questo il testo scritto, del quale però i presenti in aula non sentirono mai le ultime parole perché Domenica Ferucci cedette all’emozione e si mise a piangere. Nessun’altra delle partecipanti ebbe applausi scroscianti come quello che sottolinearono la sua vulnerabilità ai sentimenti.
Ecco, questa è la Ferucci, una donna con il piglio del dirigente d’azienda e il cuore sentimentale, una business-woman che non ha mai smesso di guardarsi intorno e di darsi da fare per i connazionali, una campionessa e ambasciatrice della solidarietà e del volontariato che nel 1989 è stata premiata dalla sua città natale con il premio annuale della “Giornata del Faentino Lontano”, che si aggiungeva all’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana ricevuta nel 1986. E ancora nel 2004, a ottant’anni suonati, è stata eletta consigliera del Comites della provincia del Capo e soltanto l’altro giorno è stata rieletta nel direttivo del Circolo Italiano Anziani di Città del Capo, dopo essere stata fondatrice e per molti anni presidentessa del Club Italiano di Paarl.
Sarebbe troppo lungo ripercorrere oggi, passo dopo passo, le tappe della vita di Domenica Ferucci ambasciatrice di solidarietà, titolo che le è stato accordato l’anno scorso dal “Corriere di Faenza”. Noi abbiamo voluto celebrarla “Donna Italiana del 2007” per additarla come esempio a tutti coloro che si autocondannano alla vecchiaia dicendo che sono troppo vecchi per questo o per quello. Questa giovane donna di 83 anni, minuta, con il viso solcato da rughe sotto un cesto di capelli bianchi come la neve, guarda ancora al futuro, fa piani per la sua prossima vacanza in Italia, mentre fissa appuntamenti e assume impegni per quando tornerà e tutti i giorni si guarda intorno e si domanda: “Che altro posso fare per rendere la mia vita più piena e appagante?”.
Sono lontanissimi i giorni in cui all’alba partiva da casa con un carico di ortaggi da vendere al mercato, ma la generosità, la caparbietà romagnola, la passione e le buone energie sono ancora quelle di allora.

Ciro Migliore

Di più non diremo, ma, se vi va di leggere, ecco alcuni tributi che le sono stati dedicati negli anni da pubblicazioni, amici ed estimatori, compreso uno che fa luce anche sulla figura del marito, Pietro Ferucci, deceduto durante un viaggio in Italia nel 1980:
“Azzurro”, marzo 1988: Tutte le galline per Domenica Ferucci fanno uova d’oro.
Nel piccolo mondo di Domenica Ferucci realtà e fanta­sia convivono felicemente e anche una versione ventesimo secolo della favola della gallina dalle uova d'oro puo essere soltanto la cronistoria della sua vita. E nella sua casa sulla montagna di Paarl, con i vigneti che sonnec­chiano pigri sotto la piomba del sole di mezzogiorno in questo febbraio che arroventa la terra, é facile credere di aver inavverti­tamente varcato il confine fra il vero e l'immaginario. Il panora­ma é dolce come quello di tante valli italiane e la catena del Klein Drakensberg, con la mole massic­cia dell'Huguenot's Peak, chiude l'orizzonte in un abbraccio pro­tettivo. Un riflesso d'argento indica la presenza della croce posta sul picco piu alto a pe­renne ricordo dei prigionieri di guerra italiani che sfidarono la montagna per aprire una nuova via di comunicazione verso il nord.
Furono proprio i racconti del fratello prigioniero a convincere i Ferucci a lasciare Faenza e un futuro senza sorprese per le in­certe promesse di una terra che cominciava appena ad affacciarsi sulla soglia del ventesimo secolo, con almeno cinquant'anni di ri­tardo, ma con tutte le intenzioni di bruciare le tappe. Pietro e Domenica Ferucci, con gli anziani genitori e un figlio di 8 anni al quale per fare eco al cognome era stato posto nome Feruccio, con una erre soltanto, si stabilirono nel 1954 a Welling­ton, poco lontano da Paarl e furono la risata del circondario quando acquistarono senza de­posito un'azienda agricola che costava poco ma li dissanguava con il pagamento degli interessi. Ma i Ferucci erano abituati a lavorare duro dall'alba al tra­monto e mentre Pietro abbel­liva con la sua sapienza artigiana di terrazziere e mosaicista i nuo­vi edifici che sorgevano come funghi dopo la pioggia in tutta la provincia (come continuerà a fare fino alla sua prematura morte nel 1980, durante una vacanza a Faenza), Domenica cer­cava di conciliare le responsa­bilità di moglie e madre con la necessità di far fruttare quella terra che assorbiva ogni mese larga parte del loro modesto bi­lancio.
Presto gli abitanti della valle di Paarl si abituarono allo spet­tacolo di quella donna che arri­vava al mercato non per fare acquisti ma per vendere ai mi­gliori offerenti i piu bei pomo­dori, limoni e zucche che si erano mai visti da quelle parti. Ancora oggi un lampo di soddisfazione si accende negli occhi di Dome­nica Ferucci quando racconta che un giorno vendette ben 105 zuc­che siciliane a un prezzo medio di 5-6 rand l'una. Una piccola fortuna per quei tempi.
Agli ortaggi e agli agrumi si aggiunsero con il tempo le gal­line e la vendita delle uova di­venne un'altra piccola fonte di reddito. Purtroppo poco dopo il governo destinò l'area di Wel­lington alle genti di colore e il primo ciclo della vicenda umana dei Ferucci in Sud Africa si concluse con l’esproprio di quel pezzo di terra che avevano trasformato in un bellissimo podere.
Il secondo capitolo comincia quindi con il trasferimento a Paarl e con l'acquisto di un
vecchio vivaio di rose proprio sulla strada che dalla cittadina si dirige verso i monti che deli­mitano l'orizzonte. Dalle rose la nuova azienda agricola dei Ferucci prende il nome "Rosen­dal" e subito Domenica si mette a riorganizzare e ingrandire il suo allevamento. Ha scoperto che tutte le galline, in condizioni ideali di produzione e di mercato, possono fare uova d'oro. Se ne rende conto nel 1968 anche il giovane Feruccio, il quale decide improvvisamente di ab­bandonare gli studi di ingegneria a Città del Capo per assumere la conduzione della fattoria. Si chiude in quel momento la fase pionieristica della Rosendal e si apre quella industriale. An­che a Paarl sta finalmente per arrivare il ventesimo secolo.
l primi passi sono timidi, ma, ha scritto recentemente una rivi­sta sudafricana, "Feruccio Ferucci non é uomo da accontentarsi di una piccola vittoria se annusa la possibilita di un successo su scala molto più grande". La Rosendal a questo punto ha 5.000 galline ovaiole, ma quasi immediatamente Feruccio ne met­te in produzione altre 8.000. Tutti i giorni le uova raggiungono i consumatori attraverso la vendita diretta al pubblico in "farm" e con due "combi" che forniscono i negozi di Paarl. Negli anni suc­cessivi la crescita continua sen­za interruzioni e oggi sono ben 60.000 le galline che depongono in media 50.000 uova ogni giorno. Il ciclo produttivo di un'ovaio­la dura più o meno un anno, dopo di che la gallina finisce a sua volta al mercato ed é parti­colarmente apprezzata dai con­sumatori di colore.
Raggiunto lo sviluppo massimo consentito dalle condizioni del mercato delle uova e da una sag­gia politica di equilibrio fra domanda e offerta, Feruccio deci­de di entrare in pieno anche nell'allevamento dei polli da ma­cellazione. Non conoscendo be­ne questo nuovo campo d'atti­vita e non volendo commettere errori, prende l'aereo a va a visi­tare gli impianti più moderni esistenti in Europa. Il viaggio comincia in Inghilterra e si con­clude in Italia dopo aver fatto tappa in Olanda, Germania e Danimarca. Al rientro a Paarl Feruccio sa di essere pronto per la nuova impresa e attrezza uno stabilimento capace di lavo­rare 10.000 polli al giorno. Per gli allevamenti, invece, ricorre a "contrattori" indipendenti del­la zona. Oggi nei pollai che espon­gono fieramente il marchio ''Ro­sendal" ci sono in qualsiasi momento da 250 a 300 mila galletti che nel giro di poche setti­mane sono destinati a finire in padella, allo spiedo o sul "braai".
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La fattoria Rosendal, con il suo macello e i reparti collegati, dà oggi lavoro a un centinaio di persone. Nella "farm" stessa vi­vono quattro famiglie di bianchi e una trentina di colorati, ciascu­na nella propria casa. Le retri­buzioni e il trattamento sono superiori alla media e vi sono operai che sono rimasti al fianco di Domenica e Feruccio fin dai primi tempi.
Nei lettori pua nascere il so­spetto che la vita con le gal­line non debba essere particolar­mente stimolante, e forse è vero, ma i Ferucci non sono tipi da lasciarsi sommergere dal­la routine e si sono creati le loro occasioni di evasione. La signora Domenica, dotata di una perso­nalita estroversa e di una ine­sauribile scorta di energie gio­vanili, é diventata il punto di riferimento della comunita ita­liana di Paarl e partecipa con entusiasmo e costruttiva gene­rosita alle iniziative comunitarie in tutta la provincia del Capo. Il Club Italiano di Paarl ha la sua sede alla "Rosendal Farm" ed é qui che i connazionali si ritrovano e godono della illimitata ospitalità dei Ferucci in tutte le grandi ricorrenze. Tutto questo non é sfuggito alla vigile atten­zione delle autorita diplomati­che e consolari italiane e oggi Domenica Ferucci é una delle pochissime donne italiane in Sud Africa a potersi fregiare del titolo di Cavaliere della Repub­blica.
Il diversivo principale di Feruc­cio sono invece la moglie Rudy, che é il suo braccio destro nella conduzione dell'azienda, e le due figliolette di undici e nove anni. Il suo hobby é quello del radio­amatore, che gli consente di essere tutti i giorni in contatto con le persone più disparate in tutti gli angoli del mondo, dalla Russia agli Stati Uniti, dall'Africa all'Estremo Oriente: una rete di contatti che allarga all'infinito i suoi orizzonti e trasforma la sonnolenta Paarl in una sorta di ombelico del mondo. La sua bravura e la passione con cui ha studiato anche gli aspetti tecnici delle radiocomunicazioni fra amatori sono tali che gli han­no consentito di vincere diversi premi. Ultimamente un nuovo progetto lo appassiona e, cono­scendo il tipo, si puo scommet­tere che fra non molto la bel­lissima casa sulla montagna di Paarl sarà anche il punto di ri­cezione di trasmissioni televisive via satellite in tutte le lingue. Molti dei suoi attuali interlocu­tori sono ovviamente allevatori di galline.
Ciro Migliore

Cenni sulla vita di Domenica Ferucci
Il corso della vita della signora Domenica Ferucci testimonia indubbiamente la sua laboriosità, l’intraprendenza e la sua forza di volontà per giungere alla meta delle sue aspirazioni.
Giunta in Sud Africa nel 1954 col marito, il figlio e i genitori, si è subito adoprata per aiutare nel benessere la, famiglia e già da allora gli amici la ricordano laboriosissima oome un’ape.
Dotata di un’indole perspicace negli affari, ben presto intraprende un piccolo commercio di compra-vendita di polli per i ristoranti italiani e così, poco alla volta, dà vita e inizio alla fortunata azienda di pollicoltura che il figlio Feruccio, con brillante capacità, ha saputo dirigere e amministrare negli anni sino alla fiorente prosperità attuale.
Coraggiosa e instancabile, ha saputo trovare nel lavoro e nell’amore per le sue preziose nipotine Claudia e Carla la forza per reagire al vuoto che la morte del marito e dell’adorata mamma le avevano lasciato nel cuore e nella casa. Le è di conforto anche l’affetto serbatole dalla piccola comunità italiana di Paarl, dove risiede, dove è stimata, ammirata e benvoluta.
Generosa come la sua terra di Romagna, ha il dono innato di dare e non di­mentica mai di offrire agli amici e conoscenti i prodotti della sua azienda. Ama avere ospiti in casa e alla sua mensa si sono trovate riunite anche autorità diplomatiohe italiane. I giovani che, arrivando dall’Europa, si sentono soli in terra straniera, sono accolti con cordiale ospitalità e trovano da lei il calore della famiglia.
In pochi anni è un personaggio affermato nella comunità italiana ed è eletta presidentessa del Circolo italiano di Paarl, che da allora dirige infaticabilmente. Ha il dono di saper organizzare e unire la gente e la comunità va volentieri al circolo per passare ore gioiose con gli amici a pranzo per poi cantare in coro canzoni italiane.
Estroversa, nulla le impedisce di fare e dire quello che più le piace, sempre pronta per una bella risata, ma anche per un rimprovero che ti sorprende e annienta.
Emergendo ed espandendo le sue attività sociali, nell’anno 1986 è stata decorata con la croce di Cavaliere. E’ nel comitato dell’Assistenza sociale per la provincia del Capo.
Senza dubbio nella sua vita è stata favorita dalla fortuna, ma merita ugualmente un elogio per il suo zelo, per il dono di saper organizzare e unire la gente e soprattutto per la capacità di rendersi utile in qualsiasi occasione che la sua presenza può essere d’aiuto.
Io personalmente sento per lei una particolare, profonda gratitudine per qualcosa che non posso dimenticare. Infatti, quando tutti i conoscenti si erano dileguati, tenendosi lontani dal letto d’ospedale dove giaceva mio marito, e io sola (e dico veramente sola, poiché non ho né famiglia né parenti qui in Sud Africa) mi sentivo ormai mancare le forze, l’ho chiamata al telefono e le ho detto che mi sentivo crollare. Mi rispose subito: “Sia forte, vengo io”. E infatti, nonostante che allora non fosse ancora una brava guidatrice e non conoscesse l’ubicazione dell’ospedale, distante 70 chilometri da casa sua, si mise in viaggio e, superando ogni difficoltà, è arrivata come un raggio di sole in quel posto di dolore. Mi è stata vicina fino quasi alla fine. E ha continuato a starmi vicina, aiutandomi a sopravvivere alla sventura in questi sette anni.
Questa è la mia amica, la signora Domenica Ferucci.
Cinzia Dorghetto

La storia dei coniugi Pietro e Domenica Ferucci - Uno spaccato di vita romagnola: dare tutto senza pretendere nulla, e ricominciare.
Avevo conosciuto a Faenza la concittadina Domenica Burzacchi, in occasione di una sua vacanza. Ho notato subito che era una donna come poche e che impersonava perfettamente il classico tipo della donna romagnola: organizzatrice, lavoratrice instancabile, pronta a farsi in quattro per risolvere un problema.
Dietro sue ripetute insistenze, le ho fatto visita a Paarl, città che si trova a circa 50 Km. da Città del Capo. Qui ho visto quanto la sua famiglia aveva realizzato: una florida azienda avicola, in continua espansione. Il mio interesse è andato crescendo ed ho perciò voluto conoscere gli inizi e gli iniziatori. Ho rovistato fra le carte d’archivio della famiglia, trovando docu­menti interessanti.
Pietro Ferucci era il marito di questa donna laboriosa. Di umili origini - era nato a Faenza il 5 marzo 1910 da modesta famiglia di operai -, aveva dovuto ben presto collaborare per il suo sostentamento e quindi aveva potuto frequentare solo gli studi elementari. Aveva però frequentato i corsi serali presso la Scuola Comunale di Disegno, studio che gli sarebbe tornato molto utile per il lavoro che avrebbe intrapreso in futuro.
Pietro ero di carattere libero, aveva perciò rifiutato l’ideologia fascista e presto era stato ospite delle carceri del regime: Ponza, Poggio Reale, Isole Tremiti, dove era stato anche torturato ed aveva avuto occasione di incontrare Sandro Pertini, il futuro Presidente della Repubblica Italiana.
Sotto il nome di battaglia di Arno, in qualità di Commissario della 36.a Brigata Ga­ribaldi, partecipò attivamente alla lotta partigiana. Nell’estate del 1944, durante uno dei tanti spostamenti, incontra Domenica Burzacchi, una attraente ragazza di 19 anni, nata a Faenza il 5 agosto 1923, che era sfollata a Villa Gessi di Sarna. La sposerà il 28 aprile 1945 e da lei avrà un figlio: Feruccio!
A metà novembre 1944, avendo saputo della liberazione di Forlì, da Firenze, ove si trovava, a piedi ed in compagnia di Gino Monti, con una marcia forzata di due giorni, giunge in Romagna. Vogliono essere fra i primi ad entrare in Faenza, si spostano continuamente nella campagna di Riolo Fichi, Santa Lucia, Marzeno. Ai primi di dicembre si unisce ad una pattuglia di neozelandesi con altri tre partigiani. La mattina del giorno 16 indossano divise degli stessi militari e partono da una casa colonica sita in San Giovannino, diretti a Faenza. Alle ore 14,00 del 16 dicembre 1944 la pattuglia guidata dai 4 partigiani entra in Faenza da Porta delle Chiavi.
Dopo la liberazione definitiva e totale della città il C.N.L., con il benestare del Governatore Alleato, dispone l’insediamento della nuova Amministrazione Comunale. In data 25 dicembre 1944 viene riunita la Giunta Municipale, Pietro Ferucci ne è il vice Sindaco, ma nei primi 4 mesi è il responsabile della città; infatti il Sindaco Alfredo Morini non poteva essere presente per esercitare le sue funzioni in quanto si trovava alla Serra di Castelbolognese, in zona occupata dai tedeschi. Pietro manterrà questa carica fino al 2 aprile 1946. Di spirito non disponibile al compromesso, constatato che non è tagliato per le lunghe discussioni e gli accordi sotterranei, abbandona l’attività politica.
Al momento della nomina di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica gli scriverà una lettera dalla quale ho stralciato questo brano significativo: “Ti ho conosciuto quando eri sorvegliato speciale, e la cosa che oggi più mi rattrista è che l’Italia programmata e desiderata negli anni duri della galera, del confino, dei campi di internamento e, per finire, della resistenza armata, non è quella di oggi, e anche tu, che per le tue doti di onestà e rettitudine morale e politica sei stato chiamato alla sommità dello Stato, sei un super sorvegliato speciale”. Abbandonata l’attività politica, inizia a lavorare in proprio come cementista.
Il fratello della moglie, Antonio, nel 1941 era stato inviato quale militare di leva a combattere in Libia. Qui viene fatto prigioniero dagli inglesi e trasferito nel campo di internamento allestito nei pressi di Johannesburg, ove rimane fino al 1945. Al momento della liberazione decide di non ritornare in Italia, ma di restare in Sud Africa, a Wellington, per lavorare come direttore in una grossa azienda agricola. Qualche anno più tardi chiama i propri genitori, ma essi non vogliono partire lasciando in Italia la figlia Domenica. Dopo due anni di tentennamenti, tutti: i genitori, la sorella Domenica accompagnata dal marito Pietro Ferucci e dal figlio di 9 anni Feruccio, lasciano l’Italia per raggiungere in Sud Africa l’ex prigioniero Antonio. Si imbarcano a Venezia sulla nave Europa il 14 ottobre 1954.
Il viaggio durò ben 24 giorni, il ragazzino Feruccio trascorreva le lunghe giornate trastullandosi con la sua collezione di coperchini metallici delle bottiglie di birra ed aranciata che aveva raccolto in Italia e che non aveva voluto abbandonare.
Giunti a Città del Capo, riunita la famiglia Burzacchi nella fattoria diretta da Antonio, iniziò per tutti una nuova vita.
Il carattere indomito di Pietro ben presto lo portò a non sopportare di lavorare sotto padrone, quindi dopo pochi mesi diede inizio ad una attività artigianale, che già aveva praticato in patria: il costruttore di manufatti in calcestruzzo. Realizzò in particolare cordoli per marciapiedi, pali, pannelli per il rivestimento di facciate. Ma ancora una volta dovette sottostare alle prepotenze delle autorità. Gli venne infatti espropriata la proprietà perché l’area ove essa era ubicata era stata destinata all’insediamento della popolazione di colore di Wellington. Non padrone della lingua locale, non riuscì a ottenere per l’esproprio nemmeno la somma che aveva investito nell’acquisto.
Fu così che la famiglia Ferucci si trasferì a Paarl. Qui la moglie Domenica diede timidamente inizio all’attività di allevamento del pollame che in meno di 20 anni avrebbe dato vita ad un’azienda che dà lavoro a oltre 160 dipendenti.
Pietro Ferucci, anche a causa delle torture subite nelle carceri fasciste e della lotta partigiana, era sofferente al cuore. Il 18 settembre 1979 scriveva a un amico italiano: “Domani vado all’ospedale ove opera la equipe del Prof. Barnard, per un esame radiologico. Agli esami fatti qui a Paarl è risultato che la valvola destra non funzionerebbe bene”. Nell’agosto del 1980, durante una vacanza in Italia, Pietro mancava all’affetto dei suoi.
Modestamente come aveva sempre vissuto, sdegnoso degli sfarzi, volle per lui la più umile delle sepolture: quella in campo comune, per riappartenere per sempre a quella terra che aveva difeso nella lotta partigiana e per la quale aveva offerto gli anni migliori della sua vita. Tutto aveva dato senza nulla avere, partendo per cercare fortuna in una terra lontana. Le sue spoglie riposano ancora sotto una coltre di terra nel cimitero dell’Osservanza, molti sono quelli che riterrebbero doveroso che l’Amministrazione Comunale di Faenza si preoccupasse della custodia dei resti mortali di un cittadino che molto ha sofferto e lottato per gli altri, senza nulla avere ed attendersi per i gravi sacrifici subiti per liberare l’Italia dalla dittatura fascista.
Alla scomparsa di Pietro, la moglie Domenica non si è lasciata prendere dallo scoraggiamento, tutt’altro, assieme al figlio si è gettata ancora a capo fitto nel lavoro. Un nuovo macello e 4 cappannoni con ciascuno galline che danno 5.000 uova al giorno, con attrezzature moderne, sono stati da pochi anni realizzati. Altri 16 cappannoni, ciascuno con 27.000 polli da carne, sono in funzione da 10 anni in un’area distante circa 10 Km. Ancora poi funzionano i primi 6 capannoni che la signora Domenica costruì negli anni sessanta.
E’ bello visitare l’Azienda Rosendal, ora diretta con vero spirito manageriale da Feruccio Ferucci, ma è doveroso ricordare i sacrifici fatti dall’intera famiglia. Agli inizi dell’attività la signora Domenica ha trascorso ben 19 lunghi anni senza concedersi un giorno di riposo e senza mai mettere piede fuori dall’azienda.
Dal momento in cui Feruccio, coadiuvato dalla bella ed intelligente moglie Trudie Coetzee, la quale gli ha dato la gioia di due figlie: Claudia di 17 anni e Carla di 14, ha preso in mano le redini dell’attività aziendale, incrementandola notevolmente, la signora Domenica ha potuto rivolgere le sue attenzioni alla Comunità Italiana che è numerosa a Paarl. Un’attenzione particolare l’ha nei confronti delle Suore Salesiane che si occupano della scolarizzazione dei meno abbienti. Il baule della sua auto è sempre pieno di doni da consegnare a questo o a quello, con grande delicatezza.
Correre a svolgere un servizio per un anziano, un ammalato, e quindi abbandonare all’improvviso le faccende domestiche, questa è la nuova attività quotidiana e frenetica di questa donna romagnola, la quale è giustamente chiamata “scoiattolo”.
Nel 1986 è stata insignita dell’onorificenza di “Cavaliere”, e la città di Faenza le ha assegnato la Medaglia d’oro di Faentino Lontano per l’anno 1989, onorificenze ampiamente meritate.
Il telefono di casa Ferucci squilla ad ogni momento, molto spesso è qualcuno che chiede di essere aiutato: “Mi scade il visto sul passaporto”, “Avrei bisogno di andare a passare una visita all’ospedale, ma sono anziana e senza patente e mio figlio è fuori per lavoro”. Una mattina, era ancora buio, l’ho sentita rispondere al telefono: “Va bene, adesso mi lavo e poi vengo”.
Non si preoccupa poi solo degli anziani di Paarl, ma anche di quelli di Città del Capo. Ora sta preoccupandosi di organizzare una giornata a Paarl per un centinaio di quegli anziani, come se non le bastassero i problemi che la affannano.
Come non parlare poi della totale disponibilità ad accogliere ospiti in casa sua. Mette tutto a loro disposizione, fino a farli sentire i veri padroni. Molti sono i faentini ed i romagnoli che già hanno goduto di una ospitalità tanto sincera e meravigliosa da lasciare senza parole.
Un ospite che partiva, commosso, dalla sua casa non trovava le parole per esprimere tutta la sua riconoscenza Mi sono sentito di tranquilizzarlo con queste poche parole: “Non preoccuparti, potrai cercare di sdebitarti in tutti i modi, sappi però che con i Ferucci ti troverai sempre a correre in salita. Questa famiglia ti sopravanzerà sempre nella generosa ospitalità”.
Non ho scritto queste righe per avere ascoltato un racconto. Ho vissuto alcune settimane fianco a fianco della signora Domenica e sono stato personalmente testimone di tanti atti di solidarietà da lei compiuti. Non so quanti avrebbero abbandonato le proprie attività solamente per accompagnare al consolato di Città del Capo una signora italiana anziana per la firma di un documento o per correre a cambiare un assegno postale ad un nero...
G.R.

Nelle foto: la giovane Domenica Burzacchi che andò sposa a Pietro Ferucci; stringe la mano al Papa Giovanni Paolo II; con il ministro Tremaglia e la signora Prada; con Romano Mussolini; con il cardinale Achille Silvestrini; riceve la medaglia d’oro come Faentina Lontana del 1989; con una coppia di anziani amici; con alcuni dei suoi leoni; fra le “Topolino” della collezione di auto, moto, biciclette, targhe, vecchie pompe di benzina del figlio Feruccio, nella quale figurano anche una Ferrari Testarossa, una Limousine e le Harley Davidson dell’ultima foto.

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