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Tuesday, 15th September 2015 

Dalle montagne al mare per realizzare un sogno

Pieralberto e Federica Za

I protagonisti di questa storia, Pieralberto e Federica Za, sono giovanissimi, per cui, volendo, si può dire che questa è soltanto una prima puntata. Pieralberto fa  parte del consiglio direttivo della Camera di commercio italo sudafricana di Cape Town e contribuisce da anni alle attività dei missionari scalabriniani, per i quali ha anche curato la ristrutturazione del palazzo in Commercial Street che ospita l’ente camerale e varie iniziative della Scalabrini Development Agency a favore dei rifugiati e dei migranti in generale.

Quando hanno deciso di trasferirsi in Sud Africa il loro sogno era di lasciare gli agi ereditati dai genitori per poter costruire il proprio destino con le proprie mani, con il proprio lavoro, con la propria intelligenza.

"Pieralberto, tutto attaccato, una parola sola - mi spiega con un sorriso –. E’ un nome raro. Viene da mio nonno Piero e mio padre Alberto".

Ma più del nome mi ha colpito il cognome: Za. Lascia il segno. Impossibile dimenticarlo, anche per me che i nomi proprio non riesco a tenerli a mente. Eppure durante la leva militare continuavano a dimenticarlo.

Nato a Belluno il 20 aprile del 1971, lui aveva sempre sognato di andare a fare il carabiniere paracadutista nel Tuscania e aveva anche fatto domanda, ma il 2 novembre del 1990 gli era arrivata la cartolina precetto che lo destinava al Car di Falconara Marittima, dove arrivava due giorni dopo per indossare la divisa meno romantica della fanteria. Allora, visto che era un perito edile e si era iscritto alla facoltà di architettura dell’Università di Venezia, si era messo in lista per andare al Genio Pontieri, ma di nuovo era stato dimenticato e, contro ogni logica, lo avevano spedito a Palmanova, in Friuli, per completare la ferma nella Cavalleria Meccanizzata, dove i cavalli non sono cavalli ma carri armati. Erano gli anni della Guerra del Golfo, pieni di tensioni, ma fortunatamente un anno passa in fretta. Al congedo era caporal maggiore, oggi è sergente. Nella vita di tutti i giorni è l’architetto Pieralberto Za, con la moglie Federica, laureata in psicologia a Padova, fondatore e proprietario di “Soluzioni”, nella Somerset Road di Città del Capo, uno dei primi a mettere radici in quello che è ormai il distretto più prestigioso della città in fatto di decorazioni d’interni e architettura.

Ma voi due – gli chiedo – cosa ci fate in Sud Africa? Si vede da lontano che non avevate bisogno di emigrare per fare fortuna. E lui conferma che, sì, il padre aveva un’azienda bene avviata, a Belluno, con una quarantina di dipendenti, un buon fatturato, clienti di prestigio come la Luxottica e altri, un avvenire sicuro, una strada spianata, è vero, ma troppo facile e allo stesso tempo troppo difficile, in un ambiente in cui le regole sono molto rigide, i percorsi segnati, le insidie tante. E a lui non piace giocare con le carte truccate.

Fin da ragazzo sapeva esattamente quello che voleva e come procurarselo. Quando tutti si aspettavano di vederlo andare al liceo, lui, che fin da bambino frequentava l’officina di falegnameria del padre e non si spaventava a sporcarsi le mani di colla a a farsi qualche callo con gli attrezzi da mobiliere, aveva scelto l’istituto professionale per periti edili, una di quelle gloriose scuole che erano le vere fucine del miracolo economico italiano e che le varie riforme scolastiche hanno condannato all’estinzione per produrre invece orde di liceali che non sanno più usare un cacciavite e faticano a sopravvivere.

Anche durante il servizio militare continua a studiare e riusce a dare due esami alla facoltà di architettura di Venezia, alla quale nel frattempo si è iscritto. Tornato in borghese gli riprende la smania di bruciare le tappe: dieci esami in un anno e via con quel ritmo. Nel luglio del 1996 è architetto. Ma già da quando aveva 18 anni fa parte dell’Associazione dei Giovani Industriali e per cinque anni lo convincono anche a entrare nel direttivo. Ma tornano fuori le carte truccate e lui non ci sta e si dimette. Uomo d’azione, non gli piace il mondo della politica perché la sua voglia di cambiare si scontra con forze che vogliono soltanto lo status quo, dove i giovani devono soltanto far trascorrere il tempo necessario per poi prendere, una volta “maturi” e inquadrati, il posto degli anziani. Guai a cercare di introdurre novità, anche minime.

Nell’azienda di famiglia, invece, lo spazio per i giovani non manca. La sorella Anna, che ha quattro anni più di lui, si è subito inserita e cura la progettazione, lui, più manuale e pratico, si occupa dell’esecuzione dei progetti e della produzione, mettendo a frutto un’esperienza maturata da quando aveva soltanto tredici anni. E intanto vuole anche viaggiare, scoprire il mondo oltre il confine delle Alpi che racchiudono le splendide valli del bellunese, il Nevegal dove nelle vacanze ha imparato a sciare e ad amare la vita sana all’aria aperta e a contatto con la natura. Partecipa a un Erasmus che lo porta a vivere e studiare per sei mesi a Oslo, molto più lontano dal suo mondo di quanto non siano le migliaia di chilometri che separano l’Italia dalla Norvegia. Poi il bisogno di nuove esperienze diventa incontenibile e per un anno, nel 1996-97, va a lavorare per un’azienda spagnola che ha contratti a Palma di Maiorca. Una favola e allo stesso tempo una scuola preziosa perché fa l’architetto ma ha anche la gestione dell’insieme dei lavori.

Al ritorno a casa la crisi, portata a maturazione da diversi fattori, fra cui, non ultimi, due brevi soggiorni in Sud Africa: la prima volta nel gennaio del 1995, per partecipare con una delegazione di industriali a una promozione sudafricana sugli incentivi offerti agli investitori e poi nel novembre del 1996, per dieci giorni, con un gruppo di produttori venuti a far conoscere le loro creazioni al mercato locale. Tutto questo mentre in Italia maturano i problemi legati alla necessità di attuare normative comunitarie rimaste dormienti per anni, a causa di governi latitanti, che non possono più essere procrastinate. Il paragone con una Spagna arrembante e innovatrice e con altri paesi meglio preparati alla nuova realtà europea scoraggia Pieralberto, soprattutto perché in una giornata lavorativa di dodici ore riesce a fare soltanto tre ore di vero lavoro, sprecando le altre nove a passare carte, invischiato in una delle peggiori burocrazie del mondo, dove dopo la politica anche la scuola si è completamente scollata dal mondo del lavoro.

Il breve soggiorno in Sud Africa ha lasciato il segno. Sia lui che il padre e la sorella sono rimasti colpiti dalla realtà sudafricana, dagli entusiasmi del periodo post-elettorale, dal pragmatismo di un ambiente imprenditoriale di stampo anglo-sassone, dai grandi spazi che si offrono, in tutti i sensi, a chi abbia la voglia e il coraggio di rischiare. Matura la decisione di cambiare vita, che ognuno metabolizza a modo suo: la sorella intraprendendo una nuova carriera da urbanista per la Provincia di Belluno, il padre mettendosi in pensione anticipata onde perseguire finalmente altri interessi, Pieralberto decidendo di tagliare i ponti e di diventare emigrante. Ma prima chiudendo l’attività di famiglia e trovando lavoro a tutti i dipendenti. Ne soffre più di tutti la madre, Bianca, che perde d’un colpo il figlio e l’attività creata e portata al successo con il marito. Ma le madri, si sa, accettano tutto per fare la felicità dei figli.

Gli ultimi tempi a Belluno sono di preparazione a quel salto nel buio che sarà il trasferimento in Sud Africa, dove Pieralberto, nella seconda visita del novembre 1996 ha approfittato per fare anche un salto a Cape Town, dove ha conosciuto Franco Vignazia e Domenica Ferucci. Se il Sud Africa lo ha conquistato, Città del Capo lo ha incantato, è la realizzazione di un sogno. Lui, cresciuto fra i monti, aveva sempre sognato il mare.

Nel 1998 il matrimonio con Federica, di un anno più giovane, la sua fidanzatina di quando era ancora soltanto un adolescente, che ha frequentato durante le vacanze scolastiche, quando lei veniva a trascorrere l’estate a Belluno, ospite di una zia. Nel frattempo anche Federica si è laureata, in psicologia a Padova, ma non esita, sa che sta prendendo un marito con la valigia già pronta, ma ne condivide i sogni e il progetto di vita. Nel 1999 approdano al Capo e siccome conoscono l’avvocato Luca Smargiasso, di Nigel, che abita a Stellenbosch, prendono anche loro una casa in affitto nella città universitaria del Boland, a pochi chilometri dal mare e da Cape Town. Ma non è un’esperienza felice e i primi tentativi di cominciare un’attività non hanno successo. Fortunatamente Pieralberto e Federica non sono tipi da stare lì a leccarsi le ferite. Dopo appena sei mesi rifanno i bagagli e si trasferiscono a Città del Capo, dove il lavoro prende subito una nuova piega. Trovano un locale adatto per la showroom nella zona fra Green Point e il Waterfront, in un complesso chiamato “The Foundry” (la fonderia) e Pieralberto fa tutto da solo, così come da solo si dedica alla ristrutturazione dell’appartamento in affitto a Sea Point, trasformato, con il consenso entusiasta del proprietario, in uno “show flat” in cui può far vedere ai clienti che cominciano ad arrivare cosa intende lui per arredamento moderno.

Sono due anni di duro lavoro, complicati anche dal fatto di dover imparare bene l’inglese, ma la coppia non ha un solo momento di incertezza e presto i risultati arrivano. Nel 2002 il negozio si trasferisce in Somerset Road e “Soluzioni” diventa presto sinonimo di qualità e stile. Poi all’importazione si affianca l’attività più propria dell’architetto, che è di progettare ed eseguire lavori. Nasce anche “Linea”. In poco tempo il portafoglio clienti si arricchisce di nomi prestigiosi come Foschini, Berco, Keedo, Markhams, Sportscene e altri, l’azienda cresce, i dipendenti aumentano. E siamo soltanto agli inizi. Ormai è già in atto anche il trapianto a Johannesburg, che sta attecchendo bene, dopo una brutta reazione iniziale di rigetto. Sono già lontani i giorni in cui un Pieralberto ancora inesperto guidava il suo pulmino dentro e fuori Kayelitsha per andare a prendere e riportare gli operai, inconsapevole dei rischi che stava correndo. Come abbia potuto trovare anche il tempo di affiancare alla laurea italiana anche quella sudafricana è un mistero, ma sta di fatto che dal 2005 Pieralberto Za è iscritto negli ordini degli architetti dell’Italia e del Sud Africa. “Io – dice lui – ho un rapporto speciale con il tempo: mi piace usarlo tutto e bene”. E i risultati si vedono.

Tutto questo mentre anche la famiglia cresceva e i due Za arrivati a Città del Capo diventavano quattro con l’arrivo di Luca il 28 settembre 2001 e quello di Mila il 30 gennaio 2004. Ancora non sanno di avere un papà e una mamma speciali, ma lo stanno scoprendo dai racconti dei nonni, che vengono a turno a trovarli.

Anche la mamma, Federica Santini all’anagrafe di Padova, sapeva esattamente dove voleva arrivare, tanto è vero che ha investito una piccola fortuna nelle ferrovie dello stato italiano per continuare a frequentare anche durante gli anni dell’università quel ragazzo bellunese che aveva conosciuto durante le vacanze scolastiche quand’era ancora una liceale. Il padre, Franco, ispettore di polizia, la voleva avvocato; la madre, Roberta, la sognava medico. Lei in cinque anni, nel luglio del 1997, si laurea in psicologia con 110 e lode, appena in tempo per preparare il matrimonio e l’espatrio. Figlia unica, non è una decisione facile. Ma d’altronde, se fossero stati tipi da decisioni facili, lei e Pieralberto, sarebbero ancora a Belluno ad aspettare l’età della pensione.

Là dove le sfide affrontate da Pieralberto sono state soprattutto all’esterno, quelle di Federica l’hanno impegnata di più fra le pareti domestiche, dove spettava soprattutto a lei dare alla famigliola che cresceva il calore di una vera casa, nonostante i continui spostamenti, l’ambiente nuovo e difficile da decifrare e il lavoro in azienda al fianco del marito, nel duplice ruolo di Financial Executive e di Director of Human Resources.

“Quando arrivammo a Città del Capo era un giorno grigio, con Table Mountain sotto le nuvole – racconta. – La signora Ferucci ci portò a Sellenbosch. Avevamo soltanto le valigie, niente mobili. Cambiammo tre case in due settimane, fino all’arrivo del container. E quando mi rivolgevo alle persone in inglese mi rispondevano in afrikaans, rendendo tutto molto più difficile. Quante volte mi venne la voglia di tornare a casa!”. E invece tenne duro. “Il trasferimento a Città del Capo rese tutto più facile. Qui la gente è più aperta, ospitale. Ma mi sono dovuta riciclare, da psicologa a contabile e segretaria, da moglie a madre. E’ stato faticoso, ma mi sento molto arricchita, ho imparato tanto. E adesso ho anche più tempo per essere di nuovo psicologa perché mi occupo delle relazioni aziendali, delle valutazioni psicologiche del personale e di tante altre cose, oltre che di mio marito e dei bambini”. Che poi sono la cosa più bella fatta dagli Za in Sud Africa.

Ciro Migliore

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